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martedì 9 aprile 2013

Studenti e professori uniti dalla passione per i versi


Alda Merini, Davide Rondoni, Clemente Rebora, Angelo Scandurra. Sono i quattro autori scelti come protagonisti di “Poesia InChiostro”, la mini rassegna di incontri sulla lirica contemporanea nata proprio tra i chiostri del Monastero dei Benedettini dall’iniziativa di un gruppo di universitari appartenenti all’associazione studentesca La Traccia, un’iniziativa rivolta non a cultori od “esperti” di poesia, ma a tutti coloro che condividono una passione o semplicemente vorrebbero capirne di più. Alcuni di loro ci hanno raccontato che cosa li ha spinti a realizzare quest’evento:  «Tutto è nato – racconta Pietro – dall’incontro a lezione con alcuni professori; veri maestri appassionati della loro materia al punto tale da suscitare in noi studenti il desiderio di approfondire il rapporto con loro e con le cose che insegnavano, un rapporto dunque che non fosse circoscritto appena alla frequenza del corso o agli esami». «Accostarsi al testo poetico così com’è, senza dover prima leggere pagine di critica o saggi sulla poesia, – ha aggiunto Chiara – è stato il punto di partenza del nostro lavoro: interrogare il testo lasciandoci interrogare da esso». Questo è anche il motivo per cui, di comune accordo con i docenti, i ragazzi hanno scelto proprio questi quattro poeti contemporanei perché «di fatto è più semplice per noi interloquire, entrare in rapporto, con una parola detta oggi piuttosto che secoli fa». La scelta di affrontare testi poetici però potrebbe sembrare ardita, forse perfino temeraria, perché la poesia è di solito il genere meno letto e ritenuto dalla maggior parte degli studenti assai ostico perché il suo linguaggio è meno immediato rispetto ad un testo di prosa. «Il linguaggio poetico è in effetti un po’ più complesso – ammette Caterina – però anche grazie all’aiuto dei professori sono stata aiutata a capire che un testo poetico a volte può leggere meglio, mettendoli a fuoco, aspetti della mia vita, che la vita non basta a se stessa e non si risolve da sola e la poesia in fondo può far emergere un po’ di più qualcosa di noi». A “Poesia Inchiostro” hanno aderito sin da subito anche i professori: «Si sono coinvolti immediatamente e senza riserve – racconta Felice –, desiderosi di condividere insieme a noi studenti la loro passione e aiutandoci inoltre con tutti i mezzi possibili affinché questo ciclo di incontri si potesse realizzare nella forma “dialogante” a cui avevamo pensato noi sin dall’inizio». E fare l’università così diventa davvero un’avventura entusiasmante.

Pubblicato su La Sicilia lunedì 8 Aprile 2013

sabato 6 aprile 2013

In carne e ossa il primo miracolo di don Pino


“In odium fidei”, in odio alla fede. È questa la formula attraverso cui la Chiesa Cattolica descrive coloro i quali hanno versato il proprio sangue a causa della loro appartenenza a Cristo. Ed è a costoro che primariamente spetta la palma del martirio e l’iscrizione nel libro dei beati. Don Pino Puglisi è uno di questi martiri, cioè, letteralmente, un testimone della fede. Per questo motivo sarà beatificato il prossimo 25 maggio a Palermo senza dover attendere l’attestazione del miracolo compiuto post-mortem così come prevedeno i canoni. Eppure un miracolo don Pino lo ha già fatto, e lo ha fatto quando era ancora in vita e operava a Brancaccio, il quartiere nel quale è nato e nel quale purtroppo ha perso la vita ucciso dalla mafia “in odium fidei”. La storia di Giuseppe Carini, potrebbe essere simile a quella, triste, di molte altri ragazzi nati e cresciuto a Brancaccio, il rione palermitano roccaforte del potente boss Michele Greco. Sin da piccolo vive a contatto con una mentalità per la quale essere un uomo temuto e rispettato, un uomo d’onore, è il sogno di ogni bambino. Sebbene la sua fosse una famiglia onesta, alcuni parenti ed amici invece erano legati a doppio filo a cosa nostra e Carini rammenta con terribile lucidità la guerra di mafia che insanguinò Palermo tra gli anni ’80 e ’90, la lotta tra i “viddrani” corleonesi ed i “cittadini” palermitani, la scomparsa di alcuni suoi congiunti vittime della lupara bianca e il suo desiderio crescente di vendicarli diventando a sua volta un uomo d’onore e un assassino. Ma l’imprevisto è dietro l’angolo. Da poco tempo infatti nella piccola chiesa di S. Gaetano a Brancaccio è arrivato un nuovo parroco, un certo don Giuseppe Puglisi: un incontro che gli cambierà completamente e definitivamente la vita. Roberto Mistretta (“Il miracolo di don Puglisi”, EdizioniAnordest 2013) ha voluto raccontare l’incontro di Carini con il sacerdote palermitano e lo ha fatto proprio attraverso l’io narrante del giovane che descrive il primo incontro con don Pino come non particolarmente suggestivo. Però la sua voce era diversa, «toccava il cuore. Don Pino parlava con semplicità. E lo sguardo, intenso, profondo, trasmetteva grande forza e serenità». È un nuovo inizio per Giuseppe: pian piano abbandona i vecchi “amici” e inizia a collaborare con l’opera di padre Puglisi. Non è facile, i risultati spesso sono scarsi o addirittura inesistenti, e spesso si deve ricominciare da capo. La tentazione di mollare tutto è forte ma era in quei momenti che don Pino diceva, con semplicità: «Non vedere tutto nero. La Provvidenza riuscirà a fare tutto perché è il segno della presenza di Dio». Giuseppe Carini è oggi un testimone di giustizia: ha cambiato nome, lavoro e vive in una località sconosciuta e protetta. Ma è lui il miracolo vivente di don Pino Puglisi perché tutto ciò che ha fatto lo ha potuto fare solo grazie a lui.  


Pubblicato su La Sicilia mercoledì 3 Aprile 2013

mercoledì 3 aprile 2013

La piazza e la rete al Forum Sociale Mondiale di Tunisi. Dalla primavera araba alle lotte globali


Il Forum Sociale Mondiale è l’alter ego no-global e anticapitalista del Forum Economico Mondiale e dal 2001 raccoglie ogni anno migliaia di persone appartenenti al variegato e multiforme universo delle associazioni e dei movimenti “alterglobalisti”, che si incontrano per discutere e condividere strategie da riproporre poi nei rispettivi Paesi di provenienza. L’edizione 2013 è stata particolarmente significativa perché la sede prescelta per ospitare l’evento è stata Tunisi, la capitale del Paese in cui è fiorita la primavera araba. La parola chiave che ha scandito i cinque giorni del Forum è la medesima che circolava di bocca in bocca all’alba della rivoluzione tunisina nel gennaio 2011: dignità. Dal 26 al 30 marzo Tunisi è stata pacificamente invasa da circa 5000 organizzazioni provenienti da 127 paesi per dar vita ad una gigantesca sessione di lavori che ha visto coinvolte decine di migliaia di persone. Non è un caso che come quartier generale della manifestazione sia stato scelto il campus universitario di El Manar, quasi a voler ribadire ancora una volta l’importanza fondamentale della cultura e delle giovani generazioni per il compimento del processo di democratizzazione innescato dalla rivoluzione dei gelsomini il cui cammino è però messo oggi in pericolo dalla deriva islamista a cui il sistema educativo è esposto, come descrive bene anche la vicenda di monsieur Kusdoghli, Rettore dell’università di Manouba, rinviato a giudizio con l’accusa di aver maltrattato alcune ragazze che indossavano il velo integrale. Intervistato durante i giorni del Forum il Rettore ha manifestato preoccupazione per il crescente controllo sull’università da parte di gruppi islamisti che grazie all’appoggio di Ennahda, il partito filo islamico, tentano di imporre il loro sistema di valori su quello educativo. Il Forum è stato tuttavia una grande occasione: entusiasti gli osservatori stranieri che hanno parlato di una sorta di nuova primavera araba: Raffaella Bolini dell’Arci, parla addirittura di miracolo; il quotidiano indipendente algerino El Watan nella sua versione on line ha scritto che la presenza del FSM nel Maghreb è un risultato straordinario per il popolo della primavera araba. Allo stesso modo anche il principale quotidiano tunisino di lingua francese, La Presse, ha interpretato la scelta di Tunisi come una forma di benedizione e omaggio internazionale alla terra culla della rivoluzione democratica nel Nord Africa. Oltre ai temi che hanno riguardato lo sfruttamento delle risorse naturali, e quelli di natura più squisitamente sociale e politica, all’interno del Forum si è svolto anche un interessante evento in cui il legame tra realtà e cyberspazio è stato più che evidente: è il caso de “La piazza globale” o “#globalsquare” per usare il linguaggio di Twitter. L’idea è stata quella di riunire in un’unica zona attivisti e membri di movimenti che nel corso degli anni hanno manifestato nelle piazze di tutto il mondo, allo scopo di verificare la possibilità di un coordinamento tra le varie associazioni insieme ai sindacati ed alle grandi organizzazioni internazionali. Ogni giorno alle 16 si è svolta un’assemblea generale, rigorosamente trasmessa anche in streaming web, preceduta da una serie di incontri e workshop mattutini a cui partecipava un numero più ristretto di persone. Twitter ha svolto un ruolo determinante perché attraverso l’hashtag “globalsquare” ha fatto in modo che i contenuti discussi nelle assemblee di piazza venissero resi pubblici in tempo reale anche a chi non era fisicamente presente, concorrendo ad alimentare il dibattito ed arricchendo di spunti e contenuti le assemblee dei giorni successivi. La copertura mediatica dell’evento inoltre è stata affidata quasi esclusivamente al web 2.0. Oltre a Twitter (con l’hashtag #fsm2013 e #wsf2013) e Facebook, era possibile consultare in rete il blog multilingue “Voci da Tunisi” in cui quotidianamente veniva fornito un resoconto delle tematiche principali affrontate al forum. Alcuni articoli erano stati in realtà ribloggati da altri blog in modo che coloro i quali erano lì per raccontare quello che avveniva davanti ai loro occhi hanno potuto raggiungere un numero più elevato di persone. La piazza e la rete non sono mai state così vicine come in questi giorni di inizio primavera a Tunisi.Certo, la questione è tutt’altro che pacificata sia per l’instabilità politica, sia per una certa instabilità sociale: Zied Dabbar, giornalista tunisino, racconta che sebbene rispetto all’epoca del regime di Ben Ali ci sia meno censura, proprio perché i giornalisti hanno ripreso a fare il loro mestiere, le minacce contro di loro sono aumentate mettendo seriamente a rischio l'incolumità personale. La strada è ancora lunga.


(foto di "Voci da Tunisi")

martedì 2 aprile 2013

Da "Parole e cose" a "il Giovannino"

Quando ho aperto questo blog, ormai quasi tre anni fa, l'ho fatto un po' per gioco, un po' per spirito di emulazione verso altri amici che nel mondo dei "web log" c'erano da parecchio tempo. Nel frattempo avevo scritto due brevi racconti e iniziavo la mia collaborazione con La Sicilia. Volendo far conoscere le cose che scrivevo al maggior numero possibile di persone ed essendomi accorto che la rete è un eccellente veicolo di comunicazione, pur non avendo chiare tutte le implicazioni che questo avrebbe comportato alla fine ho fatto come Giulio Cesare sul Rubicone: l'ho attraversato. Dovendo dare un nome di "battesimo" alla nuova creatura virtuale  ho ripreso il titolo di un libro che non brillava certo per originalità ma che per me era, ed è, molto significativo: "Parole e cose" del prof. Gianni A. Papini che insegna (insegnava?) storia della lingua italiana all'Università Cattolica di Milano. In un passaggio molto bello scriveva che "le parole vivono in relazione a ciò che indicano". Le parole non sono dunque un mero flatus vocis, ma hanno quasi carne e sangue e, come ebbe a dire una volta mons. Luigi Giussani, "le parole sono suoni per coloro che non si impegnano, sono il nome di esperienze per chi le vive". In questi anni ho cercato di raccontare e condividere le esperienze nate dall'incontro con alcune persone e con alcuni libri (un luogo privilegiato di incontro secondo me). Oggi il blog cambia nome e veste grafica: il layout è più semplice ed asciutto, un menù a scomparsa sulla destra mostra le informazioni personali dell'autore del blog, i "follower" e l'archivio. Le foto a corredo del testo sono più grandi e visibili, perché anche un'immagine veicola un messaggio, a volte forse più di tante parole. Il nuovo nome che ho scelto è "il Giovannino" in onore di Giovannino Guareschi, giornalista, scrittore e uomo straordinario e, ovviamente, uno dei miei autori preferiti. Ma il legame tra il vecchio nome del blog e il nuovo c'è anche se a prima vista non si vede: in Guareschi  non c'è una parola che non sia il frutto di un'esperienza. Ad maiora!