“In odium fidei”, in odio alla fede. È questa la formula
attraverso cui la Chiesa Cattolica
descrive coloro i quali hanno versato il proprio sangue a causa della loro
appartenenza a Cristo. Ed è a costoro che primariamente spetta la palma del
martirio e l’iscrizione nel libro dei beati. Don Pino Puglisi è uno di questi
martiri, cioè, letteralmente, un testimone della fede. Per questo motivo sarà
beatificato il prossimo 25 maggio a Palermo senza dover attendere
l’attestazione del miracolo compiuto post-mortem così come prevedeno i canoni.
Eppure un miracolo don Pino lo ha già fatto, e lo ha fatto quando era ancora in
vita e operava a Brancaccio, il quartiere nel quale è nato e nel quale
purtroppo ha perso la vita ucciso dalla mafia “in odium fidei”. La storia di
Giuseppe Carini, potrebbe essere simile a quella, triste, di molte altri
ragazzi nati e cresciuto a Brancaccio, il rione palermitano roccaforte del
potente boss Michele Greco. Sin da piccolo vive a contatto con una mentalità
per la quale essere un uomo temuto e rispettato, un uomo d’onore, è il sogno di
ogni bambino. Sebbene la sua fosse una famiglia onesta, alcuni parenti ed amici
invece erano legati a doppio filo a cosa nostra e Carini rammenta con terribile
lucidità la guerra di mafia che insanguinò Palermo tra gli anni ’80 e ’90, la
lotta tra i “viddrani” corleonesi ed i “cittadini” palermitani, la scomparsa di
alcuni suoi congiunti vittime della lupara bianca e il suo desiderio crescente
di vendicarli diventando a sua volta un uomo d’onore e un assassino. Ma
l’imprevisto è dietro l’angolo. Da poco tempo infatti nella piccola chiesa di
S. Gaetano a Brancaccio è arrivato un nuovo parroco, un certo don Giuseppe
Puglisi: un incontro che gli cambierà completamente e definitivamente la vita.
Roberto Mistretta (“Il miracolo di don Puglisi”, EdizioniAnordest 2013) ha
voluto raccontare l’incontro di Carini con il sacerdote palermitano e lo ha
fatto proprio attraverso l’io narrante del giovane che descrive il primo
incontro con don Pino come non particolarmente suggestivo. Però la sua voce era
diversa, «toccava il cuore. Don Pino parlava con semplicità. E lo sguardo,
intenso, profondo, trasmetteva grande forza e serenità». È un nuovo inizio per
Giuseppe: pian piano abbandona i vecchi “amici” e inizia a collaborare con
l’opera di padre Puglisi. Non è facile, i risultati spesso sono scarsi o
addirittura inesistenti, e spesso si deve ricominciare da capo. La tentazione
di mollare tutto è forte ma era in quei momenti che don Pino diceva, con
semplicità: «Non vedere tutto nero. La Provvidenza riuscirà a fare tutto perché è il
segno della presenza di Dio». Giuseppe Carini è oggi un testimone di giustizia:
ha cambiato nome, lavoro e vive in una località sconosciuta e protetta. Ma è
lui il miracolo vivente di don Pino Puglisi perché tutto ciò che ha fatto lo ha
potuto fare solo grazie a lui.
Pubblicato su La Sicilia mercoledì 3 Aprile 2013
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