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venerdì 1 aprile 2016

Il presunto diritto al figlio e il dramma (taciuto) della maternità surrogata

[foto: nostrofiglio.it]
Mandy è una giovane signora, vive in Oregon, è moglie e madre di due bambine e ha deciso di essere una mamma "surrogata", ha deciso cioè di portare avanti una gravidanza al termine della quale il figlio appena nato sarà ceduto ad altre persone. La sua storia l'ha raccontata Giovanna Botteri in un servizio andato in onda il 31 marzo durante l'edizione serale del tg2. In poco più di due minuti e mezzo la giovane donna ha raccontato che la decisione di intraprendere questa strana carriera è dovuta a tanti motivi, uno su tutti perché "ama essere incinta". Mandy tuttavia sapeva già che nella sua famiglia ci sarebbe stato posto solo per due figli però, dopo aver partorito le sue due bambine, non aveva esaurito la voglia di essere incinta. Che fare allora? La soluzione la trova nella maternità surrogata: "Mi sono sentita investita -  racconta - dal dovere di aiutare le persone che, per svariati motivi, non possono avere figli". L'intervistatrice le chiede allora quale sia il rapporto con il figlio portato in grembo. "Il rapporto - risponde Mandy -  cambia in base alla relazione che si costruisce durante la gravidanza tra le surrogate e i genitori adottivi". Essere una surrogata è come tenere in braccio il bambino del tuo migliore amico, solo che non lo tieni in braccio ma nella pancia. Far nascere un bambino che non è legato a me in nessun modo è la cosa più positiva che io possa fare nella vita: nemmeno una volta ho sentito un attaccamento materno, un diritto o un attaccamento parentale. E' stato piuttosto come pensare di dare ad uno dei miei migliori amici il miglior regalo possibile..." 
Forse qualcuno  ascoltando queste parole forse si sarà commosso ma dietro il sorriso sbarazzino di questa mamma (surrogata) americana, che parla dei figli come di un grazioso cadeau da elargire agli amici più intimi, nascono degli interrogativi inquietanti. 
Mandy dice che mai, nemmeno una volta, ha sentito un attaccamento materno verso il bambino che portava in grembo. Eppure le più avanzate frontiere della medicina perinatale e della neonatologia sono concordi nell'affermare che durante la gravidanza si crea, tra madre e figlio, un legame fisico e psichico reciproco ed estremamente complesso. Come afferma Carlo Bellieni, noto pediatra e saggista italiano "la psiche materna reagisce coscientemente e incoscientemente in funzione di quello che è l'essere umano concepito". E' quindi impossibile che una mamma in gravidanza non sia minimamente coinvolta da quello che le sta accadendo a meno di svuotarsi completamente della propria umanità e accettare il ruolo di "incubatrice umana". 
Secondariamente, di fronte a questa edulcorata rappresentazione della maternità surrogata, considerata come l'avamposto della civiltà, non si dimentica forse proprio il bambino? Il bambino che Mandy ha portato per nove mesi nel suo grembo non si è forse nutrito con il cibo che lei ha ingerito? Non si è addormentato al battito ritmico del suo cuore? Non ha imparato a riconoscere la voce di Mandy che gli arrivava, soffusa, attraverso il sacco amniotico? Se anche la giovane mamma americana non ha mai sentito un attaccamento materno certamente il suo bambino quell'attaccamento non solo lo ha "sentito", ma l'ha anche "sperimentato".
Da ultimo non bisogna dimenticare il compenso perché una surrogata non è affatto una benefattrice che agisce gratuitamente. La questione spesso viene taciuta perché è più comodo concentrare l'attenzione sugli aspetti sentimentali. La verità è che la maternità surrogata è un business con un giro di cifre da capogiro. Basta effettuare una semplicissima ricerca in Internet usando le giuste parole chiave (in inglese) e subito vengono fuori i nomi delle cliniche con tanto di tariffario in cui tutto, anche gli eventuali "incidenti di percorso", viene quantificato e monetizzato. E non si tratta di un obolo simbolico ma di alcune decine di migliaia di dollari. Soldi che garantiranno certamente il benessere di colei che affitta il suo utero guadagnati però giocando con la vita di piccoli esseri umani trattati come merci di lusso per soddisfare un presunto diritto di alcuni pochi individui.


giovedì 31 marzo 2016

Sussidiarietà riduce il debito pubblico

[foto ilsussidiario.net]
Il debito pubblico italiano, uno dei principali problemi della nostra economia, condiziona pesantemente le politiche fiscali messe in campo dal governo che deve quindi limitare giocoforza la spesa pubblica. Questi “tagli lineari” alla spesa non hanno però prodotto i risultati sperati tanto è vero che essa, anziché diminuire, ha continuato a crescere soprattutto per effetto dell'aumento delle spese relative alle prestazioni sociali, in particolare alle pensioni. Davanti a questi interventi palesemente insufficienti è necessario affiancare un modello di spesa pubblica che sia basato sul principio di sussidiarietà. A sostenerlo è Giorgio Vittadini, docente di Statistica presso l'Università degli Studi di Milano Bicocca e presidente della Fondazione per la Sussidiarietà che nel recente volume “Sussidiarietà e... spesa pubblica” affronta proprio questo problema.

Professore, nel Rapporto sulla Sussidiarietà 2014/2015 si afferma che oggi più che mai c'è bisogno di un modello di spesa pubblica basato sul principio di sussidiarietà...
«In questi anni si è dato addosso agli enti locali sostenendo che essi siano fonte di spreco e quindi una delle principali cause del debito pubblico ma la prima parte del Rapporto mostra che questo non è vero: nel corso degli anni '90 siamo passati da un 60% ad un 120% di debito sul PIL proprio a causa della spesa centrale. Dunque non è il federalismo ad essere il responsabile di questa situazione e questo è il primo aspetto. Il secondo dato emerso dal Rapporto, grazie all’utilizzo di un modello econometrico sui ventotto Paesi europei, dice che, a parità di spesa pubblica, il Pil aumenta se aumenta la spesa a livello locale. Questo vuol dire che il federalismo è un fattore moltiplicatore di sviluppo e la sussidiarietà verticale, cioè le componenti di spesa pubblica che vengono trasferite dal governo centrale ai livelli decentrati del governo, quando è fatta bene, crea sviluppo. Certo, dev'essere fatta bene non ci deve essere spreco».

Nel Rapporto si mette in evidenza anche il fatto che la spesa pubblica in Italia ha un andamento a-ciclico, aumenta cioè sempre a prescindere dalla presenza di fasi espansive o recessive del ciclo economico. Com'è possibile?
«I governi che si sono succeduti hanno preso sotto gamba la situazione del debito così quando andava male non hanno risparmiato e quando andava bene non hanno usato questi soldi per diminuire il debito: questa è la zavorra che ci portiamo dietro! È come una famiglia che, avendo dei debiti, nel momento in cui ha un guadagno anziché saldare quello che deve consuma tutte le risorse che ha guadagnato. È stata l'irresponsabilità dei governi, soprattutto quelli della prima Repubblica, a aver creato questa situazione soprattutto tra gli anni '80 e '90 e durante la seconda Repubblica non si è pensato di correre ai ripari. Ma se non riduciamo questa enorme entità della spesa pubblica corrente, come l'Europa giustamente ci chiede, non ne verremo mai fuori».

La “sussidiarietà orizzontale” è il meccanismo che riguarda alcune componenti del bilancio pubblico come l'otto o il cinque per mille, entrate fiscali la cui allocazione è decisa dalle persone e non dal governo centrale. Questo meccanismo ha scarsissimo peso nel nostro paese. Perché?
«Questo è un punto sul quale siamo indietro politicamente sia a destra che a sinistra. La sinistra perché statalista, la destra perché sostiene il mercato selvaggio. Ma questo vuol dire che è lo Stato a portare da solo tutto il peso del welfare e che stiamo scavando a livello sociale un solco sempre più profondo tra ricchi e poveri. Tutte le teorie più moderne elaborate da autori come Lester Salamon e altri ci dicono che è il partenariato pubblico-privato che permette di superare i problemi del welfare moderno perché lo Stato non ha più soldi, il mercato non funziona e quindi è necessaria questa collaborazione. Destra e sinistra nostrane dovrebbero superare una buona volta i loro storici schemi mentali».

Il decentramento della spesa pubblica è sempre una mossa vincente?

«Bisognerebbe cominciare ad usare la sussidiarietà fiscale, distinguere cioè tra ciò che è sviluppo, ciò che è ridistribuzione e ciò che è rendita. Premiare quindi gli enti locali che funzionano e sanzionare quelli che non funzionano, ormai si può fare e se non lo si fa è solo per motivi di copertura politica. È venuto il momento: ognuno deve prendersi le sue responsabilità».

Pubblicato su La Sicilia giovedì 31 Marzo 2016