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Il debito pubblico italiano, uno dei
principali problemi della nostra economia, condiziona pesantemente le
politiche fiscali messe in campo dal governo che deve quindi limitare
giocoforza la spesa pubblica. Questi “tagli lineari” alla spesa
non hanno però prodotto i risultati sperati tanto è vero che essa,
anziché diminuire, ha continuato a crescere soprattutto per effetto
dell'aumento delle spese relative alle prestazioni sociali, in
particolare alle pensioni. Davanti a questi interventi palesemente
insufficienti è necessario affiancare un modello di spesa pubblica
che sia basato sul principio di sussidiarietà. A sostenerlo è
Giorgio Vittadini, docente di Statistica presso l'Università degli
Studi di Milano Bicocca e presidente della Fondazione per la
Sussidiarietà che nel recente volume “Sussidiarietà e... spesa
pubblica” affronta proprio questo problema.
Professore, nel Rapporto sulla
Sussidiarietà 2014/2015 si afferma che oggi più che mai c'è
bisogno di un modello di spesa pubblica basato sul principio di
sussidiarietà...
«In questi anni si è dato addosso
agli enti locali sostenendo che essi siano fonte
di spreco e quindi una delle principali cause del debito
pubblico ma la prima parte del Rapporto mostra che questo non è
vero: nel corso degli anni '90 siamo passati da un 60% ad un 120% di
debito sul PIL proprio a causa della spesa centrale. Dunque non è il
federalismo ad essere il responsabile di questa situazione e questo è
il primo aspetto. Il secondo dato
emerso dal Rapporto, grazie
all’utilizzo di un modello econometrico sui ventotto Paesi europei,
dice che, a parità di spesa pubblica, il Pil aumenta se aumenta la
spesa a livello locale. Questo vuol dire che il federalismo è
un fattore moltiplicatore di sviluppo e la sussidiarietà verticale,
cioè le componenti di spesa pubblica che vengono trasferite dal
governo centrale ai livelli decentrati del governo, quando è fatta
bene, crea sviluppo. Certo, dev'essere fatta bene non ci deve essere
spreco».
Nel Rapporto si mette in evidenza
anche il fatto che la spesa pubblica in Italia ha un andamento
a-ciclico, aumenta cioè sempre a prescindere dalla presenza di fasi
espansive o recessive del ciclo economico. Com'è possibile?
«I governi che si sono succeduti hanno
preso sotto gamba la situazione del debito così quando andava male
non hanno risparmiato e quando andava bene non hanno usato questi
soldi per diminuire il debito: questa è la zavorra che ci portiamo
dietro! È come una famiglia che, avendo dei debiti, nel momento in
cui ha un guadagno anziché saldare quello che deve consuma tutte le
risorse che ha guadagnato. È stata l'irresponsabilità dei governi,
soprattutto quelli della prima Repubblica, a aver creato questa
situazione soprattutto tra gli anni '80 e '90 e durante la seconda
Repubblica non si è pensato di correre ai ripari. Ma se non
riduciamo questa enorme entità della spesa pubblica corrente, come
l'Europa giustamente ci chiede, non ne verremo mai fuori».
La “sussidiarietà orizzontale”
è il meccanismo che riguarda alcune componenti del bilancio pubblico
come l'otto o il cinque per mille, entrate fiscali la cui allocazione
è decisa dalle persone e non dal governo centrale. Questo meccanismo
ha scarsissimo peso nel nostro paese. Perché?
«Questo è un punto sul quale siamo
indietro politicamente sia a destra che a sinistra. La sinistra
perché statalista, la destra perché sostiene il mercato selvaggio.
Ma questo vuol dire che è lo Stato a portare da solo tutto il peso
del welfare e che stiamo scavando a livello sociale un solco sempre
più profondo tra ricchi e poveri. Tutte le teorie più moderne
elaborate da autori come Lester
Salamon e altri ci dicono che è il partenariato
pubblico-privato che permette di superare i problemi del welfare
moderno perché lo Stato non ha più soldi, il mercato non funziona e
quindi è necessaria questa collaborazione. Destra e sinistra
nostrane dovrebbero superare una buona volta i
loro storici schemi mentali».
Il decentramento della spesa
pubblica è sempre una mossa vincente?
«Bisognerebbe cominciare ad usare la
sussidiarietà fiscale, distinguere cioè tra ciò che è sviluppo,
ciò che è ridistribuzione e ciò che è rendita. Premiare quindi
gli enti locali che funzionano e sanzionare quelli che non
funzionano, ormai si può fare e se non lo si fa è solo per motivi
di copertura politica. È venuto il momento: ognuno deve prendersi le
sue responsabilità».
Pubblicato su La Sicilia giovedì 31 Marzo 2016
Pubblicato su La Sicilia giovedì 31 Marzo 2016