Prima ancora di voltare lì dove la strada si allarga in una
piazza alberata si sente un suono confuso di voci che si incalzano
sovrapponendosi le une alle altre in un chiasso quasi assordante. Girato
l’angolo si comprende finalmente il motivo di tutto quel vociare: ci si trova
davanti al grande oratorio attiguo alla chiesa di S. Ignazio di Loyola vicino
via Feltre a Milano. Entrati negli uffici della parrocchia ci viene incontro
don Pierluigi Banna, ma tutti qui lo chiamano don Pigi, in t-shirt rossa e bermuda:
si sa, la scuola è finita, l’oratorio estivo è iniziato e quindi c’è moltissimo
da fare... Don Pierluigi, anzi don Pigi, trent’anni, è coadiutore del parroco
di S. Ignazio nelle attività che riguardano soprattutto i giovani dalle
elementari fino all’università ed è stato ordinato sacerdote il sette giugno
scorso nel Duomo di Milano. Fino agli esami di maturità ha vissuto nella sua
città natale, Catania, poi il trasferimento nel capoluogo lombardo dove ha
compiuto gli studi universitari e dove è nata anche la sua vocazione al
sacerdozio.
Don Pigi che cosa
l’ha condotta proprio qui a Milano?
«Quando ho detto ai miei genitori che volevo studiare
lettere classiche hanno provato, almeno inizialmente, a farmi cambiare idea.
Però vedendo la mia passione, la mia tenacia nel voler assecondare questa
inclinazione verso la letteratura, alla fine hanno ceduto suggerendomi però di
andare a Milano in modo da potermi garantire almeno qualche possibilità
lavorativa in più. E così sono andato a studiare in “Statale”. Durante i primi
anni di università avevo anche una fidanzata che viveva a Catania, ci volevamo
bene, era un bel rapporto...»
E poi cos’è successo?
«Una volta, durante una telefonata, le ho detto che il
nostro rapporto era così bello che nessuno poteva permettersi di impedirlo a
meno che non fosse stato per qualcosa di più grande. Nel tempo però avvertivo
qualcosa che nel rapporto con lei non funzionava - ma andava tutto bene eh! - però
c’era qualcosa che non andava ma non riuscivo a capire cosa fosse. Un giorno,
era il 23 dicembre del 2002, facendo le valigie per tornare a Catania per le
vacanze di Natale mi ha attraversato questo pensiero: “E se fossi chiamato ad
amarla in modo diverso?”. Immediatamente ho sentito una grande pace, come se
tutto avesse trovato la sua giusta collocazione ma subito dopo ho pensato che
non poteva essere così, non poteva accadere così quella che viene definita la
“vocazione”. Mi sarei aspettato qualcosa di più eclatante, di più “visibile” e ricordo
di averne parlato con don Giorgio, un prete di Milano, pensando che lui mi
avrebbe consigliato di tornare dalla mia ragazza. Invece mi ha detto che la
vocazione poteva nascere anche in quel modo lì e allo stesso tempo mi ha dato
un criterio per verificare se questa ipotesi fosse frutto di una mia idea o
venisse da Dio: se vivendo la vita quotidiana, lo studio, i rapporti con gli
amici mi fossi accorto di vivere tutto con più gusto, in modo più aperto,
allora la mia intuizione era buona e dovevo percorrerla . Devo dire che con
questa ipotesi di lavoro ho visto fiorire tutta la mia vita. Ero contento.
Contento di affrontare gli esami, contento di stare con gli amici; vedevo
crescere in me una maggiore attenzione ai bisogni dell’altro ed anche una
intelligenza più profonda nel giudicare tutto ciò che accadeva . Nella verifica
di questa intuizione, insomma, mi accorgevo che la mia vita diventava più piena
e matura».
La sua decisione di
divenire sacerdote stride molto con il sentire comune il quale considera folle
la possibilità che una persona possa fare scelte radicali e definitive. La
dimensione del “per sempre”, che vale sia per il prete sia per le coppie
sposate, oggi viene messa in ridicolo e giudicata impossibile da realizzare.
Lei cosa ne pensa?
«Se si considera il “per sempre” come frutto di una decisione personale,
qualcosa che dipende ultimamente da sé, alla fine è davvero irrealizzabile. Saresti
scambiato per un presuntuoso. Secondo me oggi uno può dire “per sempre” solo se
prima qualcun altro ha detto a lui “per sempre”. Mi spiego: uno può dire “io ti
amo per sempre” ad una donna se ha fatto lui per primo l’esperienza di essere
amato di un amore eterno. In ogni scelta vocazionale si può dire questo per
sempre e si capisce che Chi è per sempre, cioè Dio, ha posto per primo gli
occhi su di te e ti ha fatto sperimentare questo per sempre. Io, ad esempio, sperimento
il per sempre attraverso il perdono. Io posso fare la cosa più grossa di questo
mondo ma Lui ricostruisce, non facendo finta che il mio errore non ci sia, ma
ricostruendo con le macerie del mio
errore. Ognuno di noi è oggetto di un amore che è per sempre e un amore che è
per sempre ha come sorgente ultima Dio perché chi può dire “io ti amo per
sempre”? Io posso dire per sempre ma come risposta all’iniziativa di Uno che è
eterno e che si è interessato a me».
È difficile far
accettare le cose che lei ha appena detto anche a chi non ha la fede...
«Secondo me anche chi non ha la fede desidera il per sempre.
Tutti noi, nel momento in cui ci imbattiamo in qualcosa di bello, corrispondente
per la vita, vorremmo che non finisca mai. È una cosa che si desidera, non è una cosa che si comprende in modo
intellettualistico. O sperimenti infatti, come dicevo prima, qualcuno che si
interessa a te per primo o altrimenti pensi che sia tutto un’utopia, un sogno,
qualcosa che forse va bene per gli adolescenti ma che poi alla lunga diventa
impossibile da perseguire».
Pubblicato su La Sicilia lunedì 23 Giugno 2014