La scuola è un bene di tutti e per tutti, svolge un ruolo
sociale di fondamentale importanza e come tale deve essere tutelato e
garantito. Dalle colonne di questo giornale qualche giorno fa il professor
Lamberto Maffei, presidente dell’Accademia dei Lincei, sottolineava come la
questione educativa costituisse una vera e propria emergenza nel nostro Paese.
Nel nostro territorio questa situazione risulta essere ancora più drammatica a
fronte spesso di una mancanza di risorse da destinare alla scuola che né le
Istituzioni né gli enti locali sono in grado di garantire in modo pieno. Quali
possono essere allora le possibili soluzioni che la società civile può mettere
in campo per salvaguardare un bene così prezioso come l’educazione delle nuove
generazioni? Il professor Francesco Garraffo, docente di Business Economics
& Management all’Università di Catania, parla del progetto “edu
care”, un progetto che verrà presentato
oggi alla città in un incontro pubblico.
Professore in cosa
consiste concretamente il progetto “educare”?
«Ci troviamo di fronte, per quanto riguarda il nostro
territorio, ad un’iniziativa innovativa, pionieristica potrei dire, attraverso
la quale si vuol far dialogare il mondo profit, delle aziende, con il mondo
non-profit. Si tratta quindi di una proposta di solidarietà sociale volta a
finanziare, realizzare, avviare opere educative».
Come funziona?
«Il procedimento è molto semplice: attraverso una card, la
“educare card”, che verrà distribuita
gratuitamente a coloro che saranno interessati al progetto e ne faranno
richiesta e grazie ad alcune aziende radicate da molti anni nel nostro
territorio che hanno accettato di aderire ad educare, verrà devoluta una percentuale dell’incassato proveniente
dagli acquisti che le persone hanno effettuato utilizzando questa card. Questa percentuale
andrà a sostenere un fondo di risorse finanziare messo a disposizione della
Fondazione Sant’Orsola, la quale provvederà a realizzare opere educative aperte
a tutti, a favore cioè di tutti gli alunni delle scuole medie e superiori di
Catania. Non verrà fatta distinzione tra privato e statale ma ci sarà la
possibilità per i giovani di usufruire di queste risorse sotto forma di
progetti e iniziative. Se ci riflettiamo con attenzione, il bene di cui qui si
sta parlando è un bene pubblico, è il bene dell’educazione, che non riguarda la
scuola privata o la scuola pubblica, ma che riguarda i nostri giovani e il loro
futuro che sono un patrimonio inestimabile dell’intera società. Un giovane può
crescere, può evolvere, può diventare migliore nella misura in cui potrà
accedere ad iniziative che lo aiutano a migliorare. Il progetto educare si pone dunque come mission proprio
questo».
Perché un’impresa
dovrebbe aderire ad un progetto del genere?
«Rispondo a questa domanda citando a memoria una frase che
ho sentito dire una volta ad un
imprenditore che di sua spontanea volontà realizzava iniziative di questo genere:
“Faccio queste cose perché voglio lasciare un segno”. Le imprese sono vissute e
gestite da persone, portatrici di bisogni che in molti casi, e aggiungo per
fortuna, vanno al di là del bisogno meramente economico e di soddisfazione
personale. Un’impresa svolge già una funzione sociale nel momento in cui assume
persone che costituiranno poi una famiglia e grazie al loro lavoro potranno
realizzare poi altri progetti di vita. Ma l’impresa svolge il suo ruolo sociale
facendo lavorare altre imprese, perché un’azienda radicata in un territorio
sviluppa volume d’affari per altre aziende. Oggi, lo stiamo vedendo anche con
il progetto educare, ci sono imprese
nel nostro territorio sensibili a questi temi che hanno il desiderio di
sostenere iniziative di questa natura. Gli imprenditori stessi, gli uomini e le
donne che gestiscono imprese, sentono il bisogno di lasciare un segno nella società
attraverso quello che loro stessi negli anni hanno realizzato».
Come dovrebbero
guardare le Istituzioni, spesso distratte quando si tratta di educazione, a questi tentativi “dal basso”?
«Sicuramente possono guardare in termini estremamente positivi.
Le ragioni possono essere tante ma ne voglio elencare almeno due: primo, le
Istituzioni a qualunque livello ,ormai hanno acquisito la consapevolezza che i
mezzi di cui disponevano un tempo ora non sono più disponibili e quindi la
capacità dei privati di sopperire alle carenze delle risorse pubbliche è un
vantaggio per tutti. Ma non solo. La disponibilità dei privati di sostenere
iniziative di questa natura crea sinergia con ciò che il pubblico fa e quindi
la somma di una sinergia risulta sempre superiore al valore dei singoli
addendi. La capacità di alcuni soggetti, profit e no-profit, di spendersi per
realizzare iniziative di questa natura permette inoltre, sembra un paradosso ma
non è così, non solo di alimentare opere di natura sociale che fanno bene a
tutti, ma fa in modo che queste opere lavorino a favore delle altre opere che
lo Stato realizza per creare il benessere della collettività. Il bello di
questo progetto sperimentale (“educare” n.d.r.) qui nel nostro territorio consiste
proprio nel tentativo di mettere in una concreta e fattiva relazione il mondo
profit con quello no-profit. È un modo nuovo, diverso, direi quasi una nuova
socialità, per citare le parole di Bernhard Scholz, che fa riferimento a valori
di solidarietà, di benessere collettivo, di bene comune; valori critici per una
migliore crescita della nostra società».
Pubblicato su La Sicilia venerdì 6 dicembre 2013