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domenica 6 novembre 2011

Tra le pagine degli e-book

Che cos’è un libro elettronico meglio noto come e-book? È davvero il futuro del libro? Il libro cartaceo a cui noi siamo abituati, quello che ci tiene compagnia nelle notti insonni o spezza la monotonia di un viaggio in aereo o in treno è destinato presto o tardi a scomparire? Le nuove tecnologie che hanno cambiato il nostro modo di scrivere, di raccontare e sopratutto di leggere, sono destinate sempre più ad entrare nell’uso comune? A queste domande, e a molte altre ancora, prova a rispondere un recentissimo libro di Massimo Maugeri “L’e-book e (è?) il futuro del libro” che, lungi dal voler affrontare il problema da una prospettiva meramente tecnica, vuole divulgare “opinioni emotive” sull’argomento. A questo proposito l’autore ha voluto coinvolgere una serie di persone “addette ai lavori” (scrittori, editori, giornalisti, critici letterari) che si sono confrontate sulla questione. Maugeri lancia una “provocazione sensoriale”: il libro di carta lo posso toccare, posso sentire il profumo della carta e il fruscio delle pagine girate; quattro sensi su cinque sono coinvolti… Ma se l’e-book dovesse soppiantare il libro “di carta” come reagirei? Varie sono state le risposte, ma sebbene una nutrita schiera abbia preso le difese del libro “classico” perché esso rimarrà sempre uno “scrigno sensoriale”, è emerso anche con chiarezza che la transizione verso il digitale procede inesorabilmente e ci sarà un momento in cui l’e-book ci sembrerà la cosa più normale del mondo.


Pubblicato su La Sicilia venerdì 4 novembre 2011

venerdì 14 ottobre 2011

L'Eucaristia, la grazia di un incontro imprevedibile

«L’idea di una mostra sull’Eucaristia – racconta Eugenio Dal Pane, direttore editoriale della casa editrice Itaca e ideatore e coordinatore della mostra – è maturata a seguito di quella su san Paolo, che mi fu proposta dalla CEI in occasione dell’Anno Paolino. Ero stato impressionato da ciò che avevo visto accadere». Ed in effetti le cifre che Dal Pane elenca sono importanti: oltre 70 diocesi coinvolte, 140 allestimenti e circa 300.000 visitatori. «Mi chiesi come dare continuità a tale esperienza – prosegue – e parlando con un responsabile del Progetto Culturale della CEI venni a sapere del Congresso Eucaristico Nazionale. Immediatamente fui attirato da una mostra sull’Eucaristia che si poneva in continuità con la mostra di san Paolo: dal testimone a Cristo stesso». Come la precedente, anche questa mostra sarà allestita e presentata in tutta Italia. Per la “prima” siciliana è stata scelta la Galleria di Palazzo Costa Grimaldi ad Acireale, e da giovedì 13 fino a domenica 30 ottobre sarà aperta al pubblico. Una domanda ha però accompagnato in modo insistente i curatori durante il lavoro di preparazione della mostra, quasi una preoccupazione: “Ha senso parlare dell’Eucaristia? Ha senso una mostra sull’Eucaristia da proporre alla città? Non è un tema troppo 'spirituale'?” La risposta è stata sì, vale la pena proporre pubblicamente una mostra su questo tema, perché essa offre a ciascuno l’opportunità di domandarsi su cosa ha fondato la propria vita, cosa la sostiene quotidianamente e cosa, o Chi, la salva dall’oblio della morte. Queste domande, troppo spesso liquidate come “metafisiche” o “astratte”, investono invece anche la società civile. Come evidenziato anche dal Censis nel 44° Rapporto sulla situazione sociale del Paese 2010, «siamo una società pericolosamente segnata dal vuoto» in cui «il desiderio diventa esangue dopo una lunga cavalcata di soddisfazione dei desideri covati per decenni se non per secoli. […] Occorre un rilancio del desiderio individuale e collettivo». Ma per realizzare questo “rilancio del desiderio” ci sono due strade: o confidare solamente nei propri mezzi, ma presto o tardi il tempo ne fa emergere tutti i limiti, oppure l’accadere di un imprevisto. Il titolo scelto per la mostra “Oggi devo fermarmi a casa tua” ripropone le parole di Gesù a Zaccheo, il capo dei pubblicani di Gerico descritto nel vangelo come odiato e reietto da tutti, il quale dopo questo incontro inatteso mutò radicalmente la propria vita, regalando metà dei suoi averi ai poveri e restituendo quanto aveva accumulato con la frode. È un fatto gratuito ed inimmaginabile infatti che ha potuto cambiare il cuore di quell’uomo, non uno sforzo etico od un pio desiderio, ma la presenza fisica di Gesù che, in modo sorprendente, lo ha guardato come nessuno mai aveva osato guardarlo. “Ma queste medesime parole – ha affermato mons. Edoardo Monichelli Arcivescovo di Ancona – Cristo continua a rivolgerle ancora oggi a ciascuno di noi”. Solo un uomo afferrato da Cristo infatti può diventare protagonista nuovo nella società e per questa ragione l’Eucaristia è quanto di più concreto ci possa essere per rispondere alla crisi del nostro Paese. Come ha ribadito spesso il Papa, la novità, nella società civile, non può venire appena dalla politica o dal demiurgo di turno, ma dai santi, cioè da uomini che hanno accolto nella loro vita l’amicizia di Gesù e, cambiati fin nel loro intimo, sono capaci di una creatività straordinaria che rende migliore la società e la vita di tutti. La sfida, audace ma appassionante, che la mostra vuole proporre a tutti i visitatori è che ognuno esca con questa certezza: Cristo si è fermato a casa mia.


sabato 8 ottobre 2011

La critica "pura" di Debenedetti

«Questo scrittore per fortuna non pratica la letteratura come sfogo o privilegiata secrezione di un’anima bella. In lui c’è l’idea, tutt’altro che bacchettona, della letteratura come buona azione». Queste parole di Giacomo Debenedetti con le quali veniva proclamato il vincitore del Premio Crotone 1961, assegnato a Leonardo Sciascia per “Il Giorno della civetta”, sono una testimonianza della profonda stima che il critico letterario nutriva nei confronti dello scrittore siciliano, stima ampiamente ricambiata da Sciascia che lo definiva “il maggior critico italiano dei nostri anni”. Un recentissimo saggio di Pietro Milone ricostruisce, in un volume impreziosito da numerose fonti inedite, il rapporto dello scrittore di Racalmuto con Debenedetti. Ma non solo. Il sottotitolo del volume – “La musica dell’uomo solo tra Debenedetti, Calvino e Pasolini” – come in un gioco di specchi, riflette la fortunata espressione critica che Debenedetti coniò per Pirandello e la proietta su Sciascia poiché egli specchiava la propria identità di scrittore in quella dell’illustre conterraneo, verso il quale nutriva un profondo senso di figliolanza reso ancora più cogente, «dopo la contrapposizione antagonistica della giovanile ribellione», dalla scoperta di ciò che li accomunava. Ma “la musica dell’uomo solo” – prosegue Milone – è in realtà una polifonia perché è con i coetanei e fraterni Pasolini e Calvino che Sciascia si confronta, affidando alla letteratura la difesa di un destino di umanità per l’uomo attraverso il quale egli può conoscere se stesso e la verità.


Pubblicato su La Sicilia sabato 8 ottobre 2011

venerdì 30 settembre 2011

Gesù base della civiltà Occidentale

“E voi chi dite che io sia?” Queste parole di Gesù hanno attraversato i secoli fino alla nostra epoca perché la figura di Cristo, è innegabile, continua ad “inquietare” gli uomini di ogni tempo ed i numerosi saggi che in questi anni sono stati scritti sul Nazareno costituiscono una prova a sostegno di questa tesi. Le risposte a questa domanda, curiosamente, sembrano essere le medesime che si rintracciano nei Vangeli: un grande profeta, un rivoluzionario, un guaritore, un folle, il Figlio di Dio. Frédéric Lenoir, filosofo e sociologo delle religioni, in un recente volume suggestivamente intitolato “Cristo filosofo. Le radici del pensiero dell’Occidente”, ha voluto indagare l’annuncio dei Vangeli rileggendolo alla luce del messaggio di Gesù. L’Autore sostiene infatti che la democrazia ed i diritti dell’uomo sono nati in Occidente (e non invece in India o in Cina) grazie al cristianesimo il quale, recando un messaggio etico di portata universale, ha permesso che si creassero le basi della moderna civiltà occidentale. La purezza di questo messaggio –egli dice- è stata però svilita dalla Chiesa che «non è stata all’altezza, non ha saputo rispondere alle esigenze di colui al quale si richiama», mentre l’Illuminismo, ispirandosi alla “filosofia di Cristo”, ne ha ripreso, perfezionandolo, il senso genuino. L’esito è noto: un’ etica cristiana senza Cristo. Ma, come scrissero Adorno e Horkheimer, «la terra interamente illuminata splende all’insegna di trionfale sventura». Lenoir sembra dimenticare che i valori, separati dall’origine da cui sono scaturiti, si sono storicamente trasformati in mostruose caricature generando ogni sorta di violenza e soprusi.



Pubblicato su La Sicilia giovedì 29 settembre 2011

venerdì 23 settembre 2011

La scienza e la ragione "ridotta"

L’ineludibilità della questione di Dio, parafrasando il titolo di un recente libro di Pietro Barcellona, appare evidente dalla sterminata produzione letteraria che riempie gli scaffali delle librerie e di cui una grande parte è il frutto, non sempre ben riuscito, del confronto di numerosi uomini di scienza con un tema appassionante qual è appunto quello della fede nell’esistenza di un Dio Creatore. Al dibattito tra scienza e religione ha contribuito anche un recente volume curato da Mario Grilli dal titolo “Gli scienziati e l’idea di Dio. Pensiero scientifico e religioso a confronto”, che, attraverso un dialogo serrato con pensatori e scienziati del passato, cerca di rispondere ad alcuni interrogativi importanti che i due temi suscitano: perché gli uomini hanno bisogno di Dio? La fede è frutto di una adesione razionale od emozionale? Le religioni sono opera dell’uomo o di Dio? E’ possibile un rapporto diretto con Dio senza alcun intermediario? Sono queste domande fondamentali, senza dubbio, però l’intenzione dell’Autore di non scrivere “un saggio dotto ed esaustivo”, ma “un immaginario colloquio con i lettori, in particolare quelli più giovani”, ha come esito finale, a causa anche di alcune inesattezze storico-filosofiche e filologiche, quello di riproporre purtroppo l’antica (e superficiale) dicotomia tra una ragione, rinchiusa nei limiti angusti del sapere scientifico, e la fede, intesa come rassicurazione a buon mercato, frutto delle debolezze e dei limiti degli uomini.


Pubblicato su La Sicilia giovedì 22 settembre 2011

sabato 17 settembre 2011

Aelredo di Rievaulx, il Dottore dell'amicizia

Il nome di Aelredo di Rievaulx potrebbe forse suscitare la stessa nota reazione di don Abbondio descritta da Manzoni nel capitolo ottavo dei “Promessi Sposi” e in effetti la figura di questo monaco cistercense vissuto nel XII secolo è stata fino ad oggi avvolta in un oblio pressoché totale, offuscata certamente dalla personalità imponente del suo più illustre contemporaneo, Bernardo di Clairvaux, di cui egli fu, peraltro, discepolo fedele. Eppure egli fu un personaggio di indubitabile grandezza, sia culturale, emblematici sono i suoi scritti filosofici, teologici ed ascetici oltre ad una vasta produzione omiletica, sia umana, per la paternità con cui guidò i monaci che gli erano stati affidati in qualità di abate di Rievaulx. A ridare lustro a questa figura ingiustamente relegata nei meandri della storia ci ha pensato Enrico Piscione che ha dedicato proprio al monaco scozzese il suo ultimo lavoro: “Doctor amicitiæ. L’itinerario filosofico-spirituale di Aelredo di Rievaulx” (Edizioni Lussografica, 2011). Attraverso un’analisi precisa ed appassionata delle tre opere principali del cistercense infatti l’Autore intende guidare il lettore alla riscoperta dell’originalità e della freschezza del pensiero aelrediano il quale, prendendo le mosse dalla constatazione che l’uomo è imago Dei e che nello stato di natura integra l’amicizia tra l’uomo e Dio era perfetta, affronta il tema dell’amicizia da una prospettiva cristologica, cercando di mostrare come solo Cristo è stato in grado di risanare “la frattura generatasi nel rapporto d’armoniosa amicizia di Adamo nei confronti del Creatore”. L’azione salvifica di Cristo tuttavia, prosegue Aeleredo, non si è svolta solo in un senso per così dire “verticale”, ristabilendo l’antica alleanza tra Dio e l’uomo, ma anche in un senso “orizzontale” perché se gli uomini possono sperimentare tra di loro una amicizia totalmente gratuita e totalmente disinteressata è solo grazie all’esempio di Colui che, come si legge nel Vangelo di Giovanni, dà la vita per coloro che ama. “Naturae simul et gratiae optimum donum”. In queste brevi parole, che sono valse ad Aelredo l’appellativo di “Doctor amicitiæ”, è racchiuso il significato dell’amicizia secondo il monaco cistercense: un dono, “optimum”, frutto allo stesso tempo sia della natura, sia della Grazia.


Pubblicato su La Sicilia venerdì 16 settembre 2011

lunedì 12 settembre 2011

Padre Aldo al Meeting

Sabato 27 agosto, il Meeting di Rimini sta per chiudere i battenti. Padre Aldo Trento, missionario in Paraguay dal 1989, prima dell’orario di apertura “ufficiale” della fiera ha incontrato un gruppetto di giovani volontari all’interno dei padiglioni. Svariate sono state le domande che i ragazzi hanno posto al sacerdote veneto, soprattutto su due questioni che, evidentemente, erano avvertite come le più urgenti. La prima. L’uomo è una perenne domanda di senso; si muove nella realtà domandando, cercando, lottando per affermare un significato senza il quale la vita diventerebbe insipida, incerta, vana. Allora, nel meeting della “immensa certezza”, come permanere in un atteggiamento di domanda, quando la realtà sembra sorda al nostro interrogare e avara o finanche muta nelle risposte?
«Occorre vivere intensamente la realtà, ha risposto padre Trento, e affidare la vita a qualcuno che riconosci autorevole per te. Da solo altrimenti non ce la fai. Mi vengono in mente quelli che ho visto ogni giorno venendo qui in fiera, sotto il sole, a fare i parcheggiatori; sono contenti, li ho visti! Ma come fanno? Sono forse degli stupidi? No! E’ che si sono fidati di quello che è stato detto loro e hanno riconosciuto che c’è una positività per la loro vita anche facendo parcheggiare le macchine».
La seconda domanda si intreccia giocoforza con la prima: quando la realtà è dura si fa fatica. Ma perché?
«Bisogna soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina» risponde il missionario. Potrebbe essere un bell’aforisma, sciorinato ad effetto per colpire la platea. Ma chi ascolta conosce bene la storia di padre Aldo e sa che dietro ogni parola utilizzata c’è tutta una vita; le sue parole non sono semplici suoni, flatus vocis, ma raccontano un’esperienza.
Per questo motivo nessuno fiata e tutti aspettano che il sacerdote riprenda a parlare.
«Al culmine del mio esaurimento nervoso, quando la depressione mi avvinghiava già nella sua morsa, ricorda, l’unico che ha avuto il coraggio di abbracciarmi, quando tutti volevano spedirmi in clinica psichiatrica, è stato Giussani, che mi ha portato con sé quella famosa estate del 1988 (o ’89 non ricordo… ndr). Il suo però è stato un abbraccio “ontologico”, non appena l’abbraccio di un amico all’amico o del moroso alla morosa; è stato l’abbraccio, posso dirlo adesso, del Mistero alla mia vita».
«Quando sono arrivato in Paraguay, -perché, sapete, Giussani, alla fine di quell’estate lì mi disse: “Ora sono sicuro di te, puoi partire in missione!”- non c’era niente nella mia vita che fosse a posto, ed ero incazzato con Dio e la Madonna. Non che avessi dei dubbi, no, però incazzato lo ero, e tanto.
Tra le tante parole che mi sentivo dire ce n’era una in particolare che mi faceva girare le balle: attesa. Ci sono voluti dodici anni, anni nei quali non ho letteralmente chiuso occhio, rasentando la follia, per comprendere che l’attesa è il tempo di Dio. Non sarebbe spiegabile altrimenti quello che accade ad Asuncìon al San Rafael, oppure ai miei bambini della “casita”; bambini malati, abusati, stuprati, feriti nella carne e nello spirito, che non parlano, non sorridono…
Io vivo quotidianamente nella sofferenza, ho a che fare ogni giorno con il dolore e la morte, a volte è quasi impossibile sopportarlo, ti lacera dentro. Eppure il dolore e la fatica sono la condizione perché la vita, la verità non diventino un discorso, una teoria.
Ma noi abbiamo paura di soffrire. Perché abbiamo paura di soffrire? Perché non vogliamo amare, perché più ami più soffri non c’è niente da fare. E più cresci nel tuo rapporto con Cristo, più impari la sua sensibilità. Quando Dio ti chiede di essere testimone di Lui nel mondo, ti fa entrare nel Getsemani: Gesù risorto si mostra con le sue piaghe, vi ricordate dell’episodio di Tommaso?
Si può essere “funzionari” di Cristo, ma se Lui non è la ragione della vita tu non soffri. Voler eliminare il dolore significa voler eliminare l’io, la possibilità di dire veramente io.
Ad un sacerdote che si è fatto mandare in missione fuori dall’Italia perché si era innamorato di una donna e volevo dimenticarla ho detto: Cretino! Perché vuoi dimenticare? Per eliminare la ferita e diventare un borghese! Devi imparare ad amare da uomo e lei, questa donna, c’è per farti amare ancora di più la tua vocazione sacerdotale e Cristo. Cari amici, in tutto quello che vi ho detto c’è una cosa fondamentale senza la quale sarebbe impossibile reggere: occorrono degli amici che ci abbraccino, perché loro sono il segno più potente della tenerezza di Dio per me. Dio, che prima ancora che mia madre mi concepisse ha pronunciato il mio nome, mi raggiunge ora grazie al volto di Carròn, Cleuza e Marcos. La malattia, la disperazione, si sconfigge solo se c’è qualcuno che ti abbraccia».
Padre Aldo finisce di parlare, posa il microfono e si asciuga la fronte madida di sudore con un fazzoletto. Nessuno si muove: sono tutti con gli occhi sgranati di fronte a lui. All’improvviso risuona la canzone che annuncia l’apertura dei padiglioni della fiera al pubblico e che ha accompagnato i visitatori per tutta la settimana; “Al final de este viaje en la vida” che in una strofa recita: “quedamos los que puedan sonreìr en medio de la muerte, en plena luz”: siamo quelli che possono sorridere in mezzo alla morte, in pieno giorno. Udire queste parole adesso dopo aver ascoltato la testimonianza di padre Aldo sembra l’avverarsi di una profezia: davvero l’esistenza è una immensa certezza! 


domenica 11 settembre 2011

Lo stile come disciplina di vita

La parola stile ricorre frequentemente nei discorsi di tutti i giorni: ci si riferisce ad essa quando si parla di un certo edificio, oppure per collocare in un determinato periodo storico un’opera letteraria, o ancora per indicare un modo di vestire nel quale il termine stesso può divenire un giudizio di valore su una persona, ecc… Ma a ben riflettere il concetto di stile è quanto di più aleatorio e sfuggente ci possa essere poiché esso si rifiuta di essere inscritto nei limiti angusti di una definizione univoca. A partire proprio dalla molteplicità dei significati che tale termine può assumere, sei persone, «non legate tra loro né da discipline né da altri misteriosi elementi […] che non siano la stima e l’amicizia», ciascuna affrontando la questione dalla prospettiva peculiare del proprio campo di ricerca (architettonico, urbanistico, filosofico e letterario), si sono cimentate nel tentativo, definito da loro stesse “ambizioso ed umile”, di trovare una teoria generale dello stile. Ha visto la luce così un interessante volume intitolato “Singolarità e formularità. Saggi per una teoria generale dello stile”, che, fedele al precetto schopenhaueriano, condiviso dagli autori, secondo cui «la prima regola, e forse l’unica del buono stile è che si abbia qualcosa da dire», vuole mostrare come ogni sapere, anche il più specialistico, ha qualcosa da dire a studiosi di altre discipline pena lo smarrimento del senso di unitarietà del contesto in cui questo sapere agisce.


Pubblicato su La Sicilia giovedì 8 settembre 2011

sabato 3 settembre 2011

L'impegno cattolico nella società. Saggi su Alberto Monticone

L’impegno civile dei cattolici nella società è un tema di estremo interesse ritornato recentemente in auge anche grazie alle parole di Benedetto XVI che, durante il suo ultimo viaggio a Venezia lo scorso maggio, ha ricordato che oggi c’è “più che mai bisogno di vedere persone, soprattutto giovani, capaci di edificare una vita buona a favore e al servizio di tutti” sottolineando come “a questo impegno non possono sottrarsi i cristiani”. In questa direzione si muove il volume curato da Angelo Sindoni e Mario Tosti che raccoglie una serie di studi storici in onore di Alberto Monticone, insigne storico e personaggio di assoluto rilievo nel panorama culturale e politico odierno, il quale ha da sempre coltivato ampi interessi, dalla storia della Chiesa in età moderna e contemporanea, alla storia dell’associazionismo cattolico, passando per la storia militare italiana, fino agli studi sul fascismo, che lo hanno reso una figura di riferimento per numerosi storici. Il fil rouge che lega i vari saggi raccolti da Sindoni e Tosti, che amici ed allievi hanno voluto offrire a Monticone a coronamento di una lunga e feconda attività di studioso, è che la vita religiosa di ciascuno non può essere vissuta solamente nell’intimità della propria coscienza, ma deve costituire il banco di prova attraverso cui affrontare i nodi cruciali che la civiltà odierna pone innanzi quotidianamente.



Pubblicato su La Sicilia venerdì 2 settembre 2011

domenica 28 agosto 2011

A Rimini 35 giovani del Cairo. "Qui come piazza Tahir".

Dall'esperienza del Meeting Cairo lo scorso 28-29 ottobre, trentacinque ragazzi egiziani, cristiani e musulmani, sono giunti a Rimini per vedere da vicino cos’è il Meeting. Racconta Mohamed, per la prima volta nella città romagnola: «Ero curioso di vedere cosa fosse il Meeting di Rimini e desideroso di rivivere quello che, seppur in piccolo, mi ha colpito di più quando ho partecipato al Meeting del Cairo: la gioia che le persone provavano nello stare insieme». Gli fa eco Assal, anche lui per la prima volta a Rimini: «Quello che mi ha incuriosito di più è vedere due culture, quella egiziana e la vostra, entrare in rapporto tra di loro. Sono contento di essere qui ed è stupefacente lo sguardo che gli altri hanno su di me: l’amicizia instaurata con gli italiani mi ha fatto scoprire un modo nuovo di guardare alle persone. Io studio per diventare pilota di linea e non pensavo che, per esserlo, avrei dovuto fare le pulizie (tutti i ragazzi egiziani volontari al Meeting si occupano delle pulizie ndr), ma sono contento così, dice sorridendo». «Quello che mi ha sorpreso di più -riprende Mohamed- è stata l’armonia che c’è tra le persone che lavorano al Meeting, che è davvero immenso – e così dicendo traccia un ampio gesto con la mano-, e probabilmente questo è il segreto del suo successo. E – aggiunge- il più grande vantaggio, per me, è che io sono parte di questa armonia nella quale posso capire, comunicare, incontrare». Il presidente del Meeting del Cairo Tahani Al Gibali nel suo messaggio alla platea riminese ha ricordato di essere stata rimproverata quando aveva affermato di essere ottimista sul futuro dell’Egitto e su quello dei giovani egiziani. Mohamed e Assal sono totalmente d’accordo con lei: «Al Gibali ha ragione –afferma Mohamed-, gli egiziani, soprattutto i giovani, recentemente si sono aperti agli altri e hanno avuto la possibilità di sfruttare tanti canalie mezzi di comunicazione. Noi desideriamo un rapporto, una unione con le altre culture e le altre persone. Il successo del Meeting del Cairo, che ci ha portato qui a Rimini per approfondire questa amicizia, è la prova che non è una follia essere ottimisti in Egitto oggi». Il “new deal” egiziano ha bisogno della cooperazione di tutti, cristiani e musulmani, ha detto proprio a Rimini il vescovo copto-ortodosso Armiah e Mohamed e Assal concordano con questa affermazione: «Io ho iniziato a lavorare insieme ad un mio amico cristiano, -ricorda Mohamed-, e il venerdì andavo con lui in chiesa a pregare e poi andavo in moschea. Penso di essere stato fortunato perché mia madre, che è musulmana, prega per me, e la mamma del mio amico, che è cristiana, prega pure per me». «Gli egiziani sono come un corpo unico, –dice Assal- non c’è una contrapposizione tra cristiani e musulmani come spesso viene fatto credere e la rivoluzione di piazza Tahrir credo che abbia dimostrato proprio che quando in gioco c’era la libertà dell’Egitto, le differenze sono immediatamente scomparse: «La religione è di Dio e la Patria è di tutti», dice Assal citando un antico detto popolare». «Non vediamo l’ora di tornare a casa per raccontare a tutti ciò che di bello abbiamo visto in questi giorni – dicono alla fine quasi in coro i due ragazzi-, -se ci mancherà qualcosa?- Sì, il vostro caffè espresso: è straordinario!   


Pubblicato su La Sicilia venerdì 26 Agosto 2011

martedì 16 agosto 2011

Londra. L'educazione sotto scacco

Gaetano e Angela vivono da molti anni nel Regno Unito. Entrambi catanesi, dopo essersi sposati hanno vissuto alcuni anni negli Stati Uniti prima di trasferirsi a Eltham, un comune di "South London" nel distretto amministrativo di Greenwich. «In questa zona -racconta Gaetano - l'onda lunga della protesta è arrivata la notte di lunedì 8 agosto, spostandosi progressivamente dal nord di Londra dove tutto ha avuto inizio sabato sera. Ma a parte qualche rissa, documentata dalla Bbc, e qualche vetrina spaccata non è accaduto nulla di eclatante. La situazione è cambiata però il martedì mattina quando i residenti di Eltham hanno deciso di scendere in piazza per difendere i negozi, le strade ed il quartiere dalla guerriglia, dando vita di fatto a delle ronde cittadine. Il motivo per cui la protesta è nata ha lasciato quasi subito spazio ad una mera contrapposizione tra bianchi e neri, anche perché il quartiere è noto per alcuni episodi di intolleranza razziale (molti abitanti appartengono al partito di estrema destra "English Defense League") e per la presenza di numerosi "hooligans" tifosi della squadra di calcio del Millwall che milita nella Football League Championship (corrispondente alla nostra serie B)». Attraversando Londra per andare a lavoro Gaetano e Angela hanno visto tanti negozi distrutti, ma in mezzo a tanta desolazione sono stati testimoni della solidarietà di tante persone che si sono prodigate per contribuire a rimettere un po' a posto le cose, anche armati di scope e palette. «Abbiamo saputo - interviene Angela -che molti si sono impegnati, attraverso offerte in denaro, ad aiutare coloro che, a causa delle rivolte, avevano perso la loro casa o la loro attività. Per la prima volta da quando viviamo nel Regno Unito abbiamo sentito dire dai media e dalle persone con cui abbiamo parlato che forse si è commesso un errore nell'educazione dei giovani; si è insistito troppo sul politically correct ma si è arrivati alla fine ad una deresponsabilizzazione di questi ultimi, delegittimando in un certo senso il ruolo dei genitori e, di conseguenza, dell'autorità». «In quanto immigrati - aggiunge Gaetano - viviamo i fatti che accadono in questi giorni un po' dall'esterno, però abbiamo sempre visto il Regno Unito come una terra piena di opportunità e ci viene difficile capire i giovani inglesi che affermano il contrario e si rivoltano contro il governo e il sistema. E' vero che i problemi ci sono e vanno affrontati, però l'impressione è che la società britannica è frammentata, ferita e che parole come speranza, futuro, avvenire sembrano distanti anni luce per questa generazione. La questione allora non è l' insufficienza di opportunità, che qui sono tante, basta saperle cogliere, ma l'assenza di punti di riferimento, di valori assoluti che diano una direzione e aiutino il giovane a trovare la sua strada e diventare così adulto». Si è creata una società in cui i giovani sono perfettamente consci dei propri diritti, ma hanno dimenticato significato della parola responsabilità. «Qui in Inghilterra - sostengono i coniugi catanesi - trovare persone che vogliono dedicarsi al mestiere di educatore è rarissimo perché al minimo errore si rischiano denunce penali. Addirittura ci sono dei negozi che espongono dei cartelli in cui c'è scritto che l'ingresso è consentito a due studenti per volta: la gente è terrorizzata dai teen-ager! I ragazzi dovrebbero protestare sì, ma contro una società che li ha abbandonati a se stessi e non ha avuto il coraggio di dire dei 'no' in nome di una presunta idea di tolleranza. Quello che sta succedendo in Inghilterra è una vera e propria emergenza educativa». E qui Gaetano interrompe il suo racconto e cita efficacemente a mo' di chiosa un detto catanese in un dialetto reso ormai incerto dai lunghi anni di assenza dalla Sicilia: «L'arbulu s'addrizza quannu è nicu»: l'albero storto si raddrizza quando è giovane.


Pubblicato su La Sicilia lunedì 15 Agosto 2011

lunedì 15 agosto 2011

Mistica, pienezza di vita

La parola “mistica”, nel nostro immaginario collettivo, viene subito ricollegata alle figure dei grandi santi, da S. Francesco, a S. Giovanni della Croce, fino a Madre Teresa di Calcutta per citare qualche esempio, immaginati magari in atteggiamento orante nella solitudine delle loro celle. Un privilegio riservato a pochi prescelti dunque, dal quale resta esclusa la stragrande maggioranza dei “comuni mortali”. Che la mistica sia invece una delle caratteristiche umane per eccellenza, anzi, che l’uomo sia essenzialmente un mistico, sembra incredibile e, per certi versi, paradossale. Non di questo parere era Raimon Panikkar, sacerdote cattolico di cultura indiana e catalana, autore di decine di libri e centinaia di articoli, scomparso lo scorso anno, secondo il quale la mistica non è un particolare fenomeno, più o meno straordinario; qualcosa di estraneo alla conoscenza “normale” dell’uomo, ma una caratteristica intrinseca al suo stesso essere, una dimensione antropologica dell’essere umano in quanto tale. “Ogni uomo è mistico anche se solo potenzialmente –soleva dire padre Panikkar- e dunque la mistica autentica non disumanizza ma, al contrario, ci mostra che la nostra umanità è qualcosa di più (e non di meno) della razionalità pura”. Queste riflessioni sono confluite in un volume, il primo di una lunga serie, che raccoglie l’opera omnia del sacerdote spagnolo, edito da Jaca Book dal titolo “Mistica pienezza di vita”. Come in un trittico ideale, l’Autore desidera guidare il lettore verso il significato più autentico della mistica che in una prima parte viene descritta non come una riflessione sull’Essere, ma come un atteggiamento spontaneo che sgorga dalla pienezza della persona. La seconda parte tratta della contemplazione, definita come una “meditazione senza oggetto”, la cui sorgente zampilla dal “silenzio della parola” come suggestivamente la descrive Panikkar racchiudendola in quest’ossimoro. Egli infine, a conclusione di questa seconda parte, traccia un profilo di tre grandi santi in cui mostra, attraverso un efficace paragone cromatico, come la santità non sia un concetto monolitico, ma poliedrico. La terza parte è forse la più sistematica e “filosofica” in quanto l’Autore, trattando dell’esperienza mistica, vuole confutare l’idea, radicata nell’accettazione acritica, della seconda regola della morale provvisoria cartesiana, secondo cui, confondendo l’evidenza razionale con la comprensione, si riduce la mistica ad una serie di fenomeni esoterici più o meno straordinari riservati ad una ristrettissima élite di persone. Invece tutti siamo potenzialmente aperti alla mistica perché tutta “l’esperienza –sottolinea ancora Panikkar- mira all’Essere”, quell’Essere che la tradizione cristiana, unica tra tutte, chiama col nome di Padre.



Pubblicato su La Sicilia giovedì 11 Agosto 2011

mercoledì 20 luglio 2011

L'intenzionalità rovesciata. Dalle forme della cultura all'originario

La nostra è un’epoca, lo si sente dire da più parti e spesso non a torto, di poche ed inquiete certezze nella quale il problema del metodo, cioè di una strada da percorrere, una strada esistenzialmente riconosciuta come valida, è di fondamentale importanza. Di questo modo di sentire si fa portavoce anche Armando Rigobello che, nella sua ultima fatica intellettuale, quasi a coronamento di un lungo e fecondo itinerario speculativo, indaga le “due vie” che si dipartono dalla filosofia la quale è giunta alle soglie del terzo millennio dopo essersi lasciata alle spalle l’impostazione fenomenologica, da cui, egli dice, non si può prescindere ma neppure ci si deve soffermare in essa. Vi è una “via breve”, ed è quella percorsa da Heidegger che, dopo aver abbandonato la metafisica, risoltasi oramai in scienza-tecnica in favore del pensiero poetante, attende la rivelazione di un Dio che venga a salvare l’uomo. Vi è invece una “via lunga”, tracciata da Ricoeur, nella quale l’interpretazione della vita vissuta, in tutta la pluralità delle sue forme, genera un conflitto che la fragile condizione umana non riesce a sanare. La soluzione non può trovarsi dunque facendo appello alle sole capacità dell’uomo ma deve di necessità aprirsi alla prospettiva religiosa, intesa però non come esito di una ricerca, ma come risposta ad una chiamata. Il fascino esistenziale della prospettiva heideggeriana è innegabile, prosegue Rigobello, ma è nel senso della “via lunga” che egli intende procedere, convinto che essa sia quella più idonea per comprendere sia il nostro tempo sia la stessa condizione umana. Il metodo adottato per procedere lungo questa via è singolare: occorre, dice il filosofo veneto, una “intenzionalità rovesciata” che della realtà, del mondo della cultura e della spiritualità, colga la ragione profonda. Sant’Agostino scriveva che «initium […] ut esset homo creatus est»; affinchè il mondo si possa dire realmente esistente (ci sia un vero inizio) occorre lo sguardo di un soggetto umano, che ponga una domanda attraverso la quale si cerca di comprendere il senso del reale. Ma la domanda radicale sul senso della realtà si intreccia inesorabilmente con la domanda di senso assolutamente personale di colui che interroga. E ogni domanda, incalza Rigobello, se pensata fino in fondo, rinvia alla domanda radicale sul senso ultimo della realtà e di ciascuno di noi che della realtà siamo parte. L’“intenzionalità rovesciata”, dalle forme simboliche del reale, per usare una celebre espressione di Ernst Cassirer, vuole condurre proprio verso quel senso finale, originario, in cui il percorso non si configura tanto come un esodo, ma come un compimento verso cui l’uomo, inteso come homo viator, tende.



Pubblicato su La Sicilia mercoledì 20 Luglio 2011

sabato 16 luglio 2011

Biografia, politica e Kulturgeschichte in Rudolph Haym

«Non è necessario, o neanche soltanto possibile, in ogni tempo elevare a dogma la storia che si fa e trasporla in un sistema metafisico: è assolutamente necessario rendere gli eventi storia, la storia storia compresa e narrata». Non si potrebbero comprendere la vita e l’opera di Rudolph Haym al di fuori di questa affermazione tratta dal suo “Hegel und seine Zeit”, la monumentale biografia che lo studioso tedesco scrisse su Hegel. La sua figura rimanda ad una personalità multiforme (πολύτροπος l’avrebbe definito Omero) interessata tanto all’attività teorica e speculativa quanto all’attività pratica e politica in particolare. Un recente volume, curato da Giancarlo Magnano San Lio, ci restituisce proprio un’immagine a tutto tondo della personalità di Haym, un intellettuale la cui opera presenta una indubbia abbondanza di spunti e suggestioni, purtroppo oggetto, in seguito, solo di scarsi studi critici che, di conseguenza, sono stati causa di un immeritato oblio sia dell’opera sia della persona. Il titolo del saggio,“Biografia, politica e Kulturgeschichte in Rudolf Haym”, enuclea già i nodi principali che costituirono il leit-motiv dell’impegno dell’intellettuale tedesco. La biografia è considerata come il genere letterario che consente di riassumere storia della filosofia e storia della cultura attraverso le vicende di alcuni personaggi di straordinario rilievo che costituiscono la cartina di tornasole di un intero ambiente, se non addirittura di un’epoca. Da qui le tre monumentali biografie su Humboldt, Hegel ed Herder, che, oltre allo straordinario rilievo storiografico, assumono anche un significato pedagogico in quanto, nella prospettiva haymiana, la grande personalità può assurgere a modello utile a ripercorrere la storia spirituale della Germania nell’ottica soprattutto dell'unificazione della nazione tedesca che di lì a poco si sarebbe realizzata. E’ attraverso la biografia dunque che i singoli eventi si fanno storia e la storia diviene “storia compresa e narrata” e, d’altra parte, l’impegno politico che costituisce l’altra cifra capitale della riflessione haymiana, non venne solamente teorizzato attraverso gli exempla dei tedeschi illustri, ma vissuto in prima persona negli anni difficili che condussero poi di fatto la Germania verso l’unificazione nel 1871: Haym assunse incarichi parlamentari, ruoli accademici ed istituzionali, correndo a volte il rischio di pagare a livello personale alcune sue prese di  posizione che egli difese tuttavia sempre con tenacia e con una immancabile vis polemica. Dalla ricognizione fatta da Magnano San Lio emerge dunque un contesto assai complesso nel quale si inserisce una personalità poliedrica, ma capace tuttavia di comporre in un quadro unitario aspetti e prospettive assai diversi fra loro.




Pubblicato su La Sicilia il 16 Luglio 2011

mercoledì 4 maggio 2011

Legge e scelte etiche, itinerari di biodiritto

“Non omne quod licet honestum est”. Riflettere sul rapporto che intercorre tra la vita umana e il diritto non può prescindere, secondo il pensiero di Giovanni Di Rosa, ordinario di Diritto privato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Catania, da ciò che afferma il noto brocardo latino, secondo cui una legge «non rende un comportamento diverso da quello che oggettivamente esso è», rendendo giusto ciò che, con tutta evidenza, giusto non è. Partendo da questa iniziale considerazione, ha visto la luce un agile volume dal titolo singolare: “Biodiritto. Itinerari di ricerca” (Giappichelli Editore), che è il frutto, spiega l’autore, (anche) dell’esperienza maturata durante le lezioni di Biodiritto tenute all’Università e prende le mosse dal valore della persona e dalla centralità della vita umana sviluppandosi via via con l’esame delle discipline legislative più attuali in materia di trapianti d’organo, cure palliative e terapie del dolore, senza passare però sotto silenzio i temi più scottanti che tanto hanno infiammato l’opinione pubblica, dall’ammissibilità della diagnosi preimpianto in merito alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita, al  caso Eluana Englaro, che ha contribuito ad alimentare il dibattito sulla questione se esiste un diritto a morire, se la persona ha il potere di disporre del proprio corpo in base ad un assoluto principio di autodeterminazione e se ha il diritto di dichiarare anticipatamente il tipo di trattamento sanitario che dovrebbe eventualmente ricevere. L’itinerario appassionante lungo il quale il lettore viene guidato, ripercorre idealmente le tappe fondamentali dell’esistenza umana, muovendo dalle vicende che riguardano l’alba dell’io (manipolato o negato), verso quelle che guardano allo svolgimento della vita (contestualmente all’indagine sugli atti dispositivi del proprio corpo), per giungere infine alle problematiche sollevate dalla “vita dolente” (dichiarazioni di trattamento anticipato, testamento biologico, eutanasia, cure palliative e terapie del dolore). Non è un testo per i soli “addetti ai lavori”, ma un’opportunità di riflessione per tutti a partire dall’attuale situazione normativa fondata su due importantissimi documenti, seppur di provenienza affatto diversa; la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e l’enciclica Humanae vitae di Paolo VI. Esso si rivolge a tutti coloro che desiderano andare al cuore di alcune questioni, consapevoli che esistono principi non negoziabili e limiti invalicabili all’autodeterminazione dell’uomo. La questione allora non è riproporre la dicotomia, stucchevole e sterile, tra bioetica laica e bioetica cattolica, ma confrontarsi serenamente e seriamente sui temi che riguardano quella che è la nostra più importante e irripetibile esperienza: la vita.



Pubblicato su La Sicilia mercoledì 4 maggio 2011

martedì 3 maggio 2011

Musica, risonanza del sublime

Un luogo comune molto ben radicato afferma la perfetta e insanabile estraneità fra la contemporaneità musicale e la tradizione religiosa. Invece è proprio la contemporaneità che esige di "seguire la traccia dell'antica memoria e della sua testimonianza". E’ questo il leitmotiv del saggio di Pierangelo Sequeri, ("La risonanza del sublime. L'idea spirituale della musica in Occidente."; Edizioni Studium Roma 2008) che vuol guidare il lettore in un viaggio, attraverso la forma del racconto, che prende le mosse dall'antica filosofia greca della musica, per giungere, dopo essersi soffermato ad interrogare le varie epoche della musica "composta ed ascoltata", all'età contemporanea, dove il nesso tra evoluzione della spiritualità religiosa ed evoluzione della coscienza estetica, ha raggiunto il suo culmine. Il Novecento musicale europeo è difatti incomprensibile prescindendo da questo rapporto, il cui esito non può essere spiegato semplicemente in termini di tecniche, gusti soggettivi e stili formali. Nella nostra cultura infatti musicale è l'uomo, primariamente; “non la natura, né gli dei, né le pulsioni di eros.” E' su quest’ idea, fiorita attraverso l'innesto dell'ethos greco nel Logos cristiano, che si è sviluppata la storia della musica occidentale la quale, dunque, si confronta costantemente e in modo diretto con i grandi temi della tradizione spirituale e religiosa.



Pubblicato su La Sicilia domenica 17 aprile 2011

La giustizia e la lezione di Socrate

La lettura di Platone è un piacere intenso. Nel grande Ateniese infatti il Logos filosofico raggiunge vertici di vera e propria arte attraverso la forma sublime dei dialoghi, che a ragione si possono annoverare tra i grandi capolavori della letteratura di tutti i tempi.
Gli studenti dei Licei che si avvicinano per la prima volta allo studio della filosofia, accanto al normale lavoro sul manuale dovrebbero avere la possibilità di accostarsi direttamente ad un “classico” della filosofia e quale miglior occasione, questa, per leggere Platone e cominciare così ad intraprendere la grande avventura del pensiero occidentale?
In questa prospettiva si colloca il lavoro condotto in sinergia da Enrico Piscione e Alfio Maglia che hanno recentemente curato una edizione “scolastica” del Critone (AG Edizioni) platonico, il primo dedicandosi in special modo all’introduzione ed agli approfondimenti bibliografici, alla traduzione e alle note culturali il secondo. Il pregio di questa edizione consiste, oltre alla veste grafica particolarmente curata, alla ottima traduzione fedele all’edizione del testo greco stabilita da J. Burnet corredata da un efficace apparato di note che intervengono al momento opportuno a spiegare i passaggi più oscuri del testo, ad un approfondimento bibliografico che anziché limitarsi ad un asettico elenco di opere offre una seppur breve antologia critica degli studiosi più autorevoli di Platone, anche  in una introduzione che coglie i punti essenziali del messaggio platonico contenuto nel dialogo attraverso un confronto serrato con ciò che la critica ha prodotto negli anni più recenti e introducendo una notazione sui generis come si vedrà fra poco. Inoltre la snellezza del formato la rende uno strumento particolarmente utile per lo studente che si accosti per la prima volta al testo platonico.
Il Critone rispetto ad altri dialoghi è un testo piuttosto breve, ma questo non implica però che esso sia facilmente intelligibile, anzi, ci avverte Piscione nella premessa all’opera, “se si scende in profondità, lo si trova irto di difficoltà interpretative”.
In primo luogo la data di composizione, che non è una questione di pura erudizione ma è determinante per comprendere appieno il significato del messaggio platonico. Infatti “la linea ermeneutica più recente, - prosegue il curatore- colloca l’opera prossima agli ultimi dialoghi platonici e qualche interprete si spinge ad affermare che il Critone è addirittura una sorta di “proemio alle Leggi” che, com’è noto, sono l’ultima opera di Platone”. Un dialogo della maturità dunque in cui viene dibattuto, attraverso il personaggio di Socrate prigioniero in attesa dell’esecuzione capitale, il problema dell’obbedienza alle leggi della Patria. L’altro protagonista del dialogo (a cui si deve il titolo) Critone, prova a convincere l’amico Socrate ad evadere dal carcere adducendo svariate motivazioni di natura pragmatica, ma il maestro di Platone è irremovibile dal suo proposito di non contravvenire alla sentenza dei magistrati di Atene perché, sostiene, “non si deve tenere in gran conto il vivere in se stesso, ma il vivere bene”, che equivale a “vivere con dignità e giustizia”.
Il carattere nomologico del dialogo è chiaramente messo in evidenza nella rigorosa introduzione di Piscione, che ripropone con scrupolosità le tesi di studiosi tra i più autorevoli intorno a quest’opera: il cittadino è presentato come doulos, ossia “servo” delle leggi, e questa prospettiva emerge quasi con prepotenza all’interno del dialogo nel contesto della grande prosopopea delle leggi, nella quale i Nomoi, le leggi personificate appunto, rivendicano per sé addirittura l’esistenza stessa di Socrate come uomo e come cittadino.Quindi, prosegue il curatore, “le Leggi nel dialogo esaminato assumono la caratteristica dell’assolutezza e, quindi, della divinità.
Ma, incalza Piscione, “esse sono eterne e assolute, portatrici di bene o nascono dalla volontà degli uomini che conseguono il potere? Sono le stesse in tutte le città o variano col variare del tempo e dei luoghi?” Ecco, a queste domande il testo platonico non risponde rivelando un punto debole nella struttura dell’intera opera e perciò “la carenza di un fondamento metafisico rischia di schiacciare ed eliminare la dignità della singola persona che non trova affatto nelle Leggi un interlocutore paritario e il singolo rimane uno schiavo delle Leggi stesse”.
E’ su tali questioni che il curatore fa acutamente notare, confortato dall’autorità di un grande pensatore quale è stato Romano Guardini,  come la posizione evangelica rovesci un tale concetto: “Cristo non nega il valore delle leggi e, in particolare, quella del sabato, ma afferma che la legge è per l’uomo e non viceversa”. L’uomo è imago Dei e quindi la legge, secondo il Nazareno, non si riduce ad “ottuso idolo che esige sacrifici umani”. C’è una legge dunque che è più profonda delle norme positive di derivazione umana ma Platone, pur nella sua immensa genialità, non arriva a coglierla, e di questo elemento di debolezza “il lettore presto s’accorge”. 



Pubblicato su La Sicilia domenica 20 marzo 2011