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venerdì 30 settembre 2011

Gesù base della civiltà Occidentale

“E voi chi dite che io sia?” Queste parole di Gesù hanno attraversato i secoli fino alla nostra epoca perché la figura di Cristo, è innegabile, continua ad “inquietare” gli uomini di ogni tempo ed i numerosi saggi che in questi anni sono stati scritti sul Nazareno costituiscono una prova a sostegno di questa tesi. Le risposte a questa domanda, curiosamente, sembrano essere le medesime che si rintracciano nei Vangeli: un grande profeta, un rivoluzionario, un guaritore, un folle, il Figlio di Dio. Frédéric Lenoir, filosofo e sociologo delle religioni, in un recente volume suggestivamente intitolato “Cristo filosofo. Le radici del pensiero dell’Occidente”, ha voluto indagare l’annuncio dei Vangeli rileggendolo alla luce del messaggio di Gesù. L’Autore sostiene infatti che la democrazia ed i diritti dell’uomo sono nati in Occidente (e non invece in India o in Cina) grazie al cristianesimo il quale, recando un messaggio etico di portata universale, ha permesso che si creassero le basi della moderna civiltà occidentale. La purezza di questo messaggio –egli dice- è stata però svilita dalla Chiesa che «non è stata all’altezza, non ha saputo rispondere alle esigenze di colui al quale si richiama», mentre l’Illuminismo, ispirandosi alla “filosofia di Cristo”, ne ha ripreso, perfezionandolo, il senso genuino. L’esito è noto: un’ etica cristiana senza Cristo. Ma, come scrissero Adorno e Horkheimer, «la terra interamente illuminata splende all’insegna di trionfale sventura». Lenoir sembra dimenticare che i valori, separati dall’origine da cui sono scaturiti, si sono storicamente trasformati in mostruose caricature generando ogni sorta di violenza e soprusi.



Pubblicato su La Sicilia giovedì 29 settembre 2011

venerdì 23 settembre 2011

La scienza e la ragione "ridotta"

L’ineludibilità della questione di Dio, parafrasando il titolo di un recente libro di Pietro Barcellona, appare evidente dalla sterminata produzione letteraria che riempie gli scaffali delle librerie e di cui una grande parte è il frutto, non sempre ben riuscito, del confronto di numerosi uomini di scienza con un tema appassionante qual è appunto quello della fede nell’esistenza di un Dio Creatore. Al dibattito tra scienza e religione ha contribuito anche un recente volume curato da Mario Grilli dal titolo “Gli scienziati e l’idea di Dio. Pensiero scientifico e religioso a confronto”, che, attraverso un dialogo serrato con pensatori e scienziati del passato, cerca di rispondere ad alcuni interrogativi importanti che i due temi suscitano: perché gli uomini hanno bisogno di Dio? La fede è frutto di una adesione razionale od emozionale? Le religioni sono opera dell’uomo o di Dio? E’ possibile un rapporto diretto con Dio senza alcun intermediario? Sono queste domande fondamentali, senza dubbio, però l’intenzione dell’Autore di non scrivere “un saggio dotto ed esaustivo”, ma “un immaginario colloquio con i lettori, in particolare quelli più giovani”, ha come esito finale, a causa anche di alcune inesattezze storico-filosofiche e filologiche, quello di riproporre purtroppo l’antica (e superficiale) dicotomia tra una ragione, rinchiusa nei limiti angusti del sapere scientifico, e la fede, intesa come rassicurazione a buon mercato, frutto delle debolezze e dei limiti degli uomini.


Pubblicato su La Sicilia giovedì 22 settembre 2011

sabato 17 settembre 2011

Aelredo di Rievaulx, il Dottore dell'amicizia

Il nome di Aelredo di Rievaulx potrebbe forse suscitare la stessa nota reazione di don Abbondio descritta da Manzoni nel capitolo ottavo dei “Promessi Sposi” e in effetti la figura di questo monaco cistercense vissuto nel XII secolo è stata fino ad oggi avvolta in un oblio pressoché totale, offuscata certamente dalla personalità imponente del suo più illustre contemporaneo, Bernardo di Clairvaux, di cui egli fu, peraltro, discepolo fedele. Eppure egli fu un personaggio di indubitabile grandezza, sia culturale, emblematici sono i suoi scritti filosofici, teologici ed ascetici oltre ad una vasta produzione omiletica, sia umana, per la paternità con cui guidò i monaci che gli erano stati affidati in qualità di abate di Rievaulx. A ridare lustro a questa figura ingiustamente relegata nei meandri della storia ci ha pensato Enrico Piscione che ha dedicato proprio al monaco scozzese il suo ultimo lavoro: “Doctor amicitiæ. L’itinerario filosofico-spirituale di Aelredo di Rievaulx” (Edizioni Lussografica, 2011). Attraverso un’analisi precisa ed appassionata delle tre opere principali del cistercense infatti l’Autore intende guidare il lettore alla riscoperta dell’originalità e della freschezza del pensiero aelrediano il quale, prendendo le mosse dalla constatazione che l’uomo è imago Dei e che nello stato di natura integra l’amicizia tra l’uomo e Dio era perfetta, affronta il tema dell’amicizia da una prospettiva cristologica, cercando di mostrare come solo Cristo è stato in grado di risanare “la frattura generatasi nel rapporto d’armoniosa amicizia di Adamo nei confronti del Creatore”. L’azione salvifica di Cristo tuttavia, prosegue Aeleredo, non si è svolta solo in un senso per così dire “verticale”, ristabilendo l’antica alleanza tra Dio e l’uomo, ma anche in un senso “orizzontale” perché se gli uomini possono sperimentare tra di loro una amicizia totalmente gratuita e totalmente disinteressata è solo grazie all’esempio di Colui che, come si legge nel Vangelo di Giovanni, dà la vita per coloro che ama. “Naturae simul et gratiae optimum donum”. In queste brevi parole, che sono valse ad Aelredo l’appellativo di “Doctor amicitiæ”, è racchiuso il significato dell’amicizia secondo il monaco cistercense: un dono, “optimum”, frutto allo stesso tempo sia della natura, sia della Grazia.


Pubblicato su La Sicilia venerdì 16 settembre 2011

lunedì 12 settembre 2011

Padre Aldo al Meeting

Sabato 27 agosto, il Meeting di Rimini sta per chiudere i battenti. Padre Aldo Trento, missionario in Paraguay dal 1989, prima dell’orario di apertura “ufficiale” della fiera ha incontrato un gruppetto di giovani volontari all’interno dei padiglioni. Svariate sono state le domande che i ragazzi hanno posto al sacerdote veneto, soprattutto su due questioni che, evidentemente, erano avvertite come le più urgenti. La prima. L’uomo è una perenne domanda di senso; si muove nella realtà domandando, cercando, lottando per affermare un significato senza il quale la vita diventerebbe insipida, incerta, vana. Allora, nel meeting della “immensa certezza”, come permanere in un atteggiamento di domanda, quando la realtà sembra sorda al nostro interrogare e avara o finanche muta nelle risposte?
«Occorre vivere intensamente la realtà, ha risposto padre Trento, e affidare la vita a qualcuno che riconosci autorevole per te. Da solo altrimenti non ce la fai. Mi vengono in mente quelli che ho visto ogni giorno venendo qui in fiera, sotto il sole, a fare i parcheggiatori; sono contenti, li ho visti! Ma come fanno? Sono forse degli stupidi? No! E’ che si sono fidati di quello che è stato detto loro e hanno riconosciuto che c’è una positività per la loro vita anche facendo parcheggiare le macchine».
La seconda domanda si intreccia giocoforza con la prima: quando la realtà è dura si fa fatica. Ma perché?
«Bisogna soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina» risponde il missionario. Potrebbe essere un bell’aforisma, sciorinato ad effetto per colpire la platea. Ma chi ascolta conosce bene la storia di padre Aldo e sa che dietro ogni parola utilizzata c’è tutta una vita; le sue parole non sono semplici suoni, flatus vocis, ma raccontano un’esperienza.
Per questo motivo nessuno fiata e tutti aspettano che il sacerdote riprenda a parlare.
«Al culmine del mio esaurimento nervoso, quando la depressione mi avvinghiava già nella sua morsa, ricorda, l’unico che ha avuto il coraggio di abbracciarmi, quando tutti volevano spedirmi in clinica psichiatrica, è stato Giussani, che mi ha portato con sé quella famosa estate del 1988 (o ’89 non ricordo… ndr). Il suo però è stato un abbraccio “ontologico”, non appena l’abbraccio di un amico all’amico o del moroso alla morosa; è stato l’abbraccio, posso dirlo adesso, del Mistero alla mia vita».
«Quando sono arrivato in Paraguay, -perché, sapete, Giussani, alla fine di quell’estate lì mi disse: “Ora sono sicuro di te, puoi partire in missione!”- non c’era niente nella mia vita che fosse a posto, ed ero incazzato con Dio e la Madonna. Non che avessi dei dubbi, no, però incazzato lo ero, e tanto.
Tra le tante parole che mi sentivo dire ce n’era una in particolare che mi faceva girare le balle: attesa. Ci sono voluti dodici anni, anni nei quali non ho letteralmente chiuso occhio, rasentando la follia, per comprendere che l’attesa è il tempo di Dio. Non sarebbe spiegabile altrimenti quello che accade ad Asuncìon al San Rafael, oppure ai miei bambini della “casita”; bambini malati, abusati, stuprati, feriti nella carne e nello spirito, che non parlano, non sorridono…
Io vivo quotidianamente nella sofferenza, ho a che fare ogni giorno con il dolore e la morte, a volte è quasi impossibile sopportarlo, ti lacera dentro. Eppure il dolore e la fatica sono la condizione perché la vita, la verità non diventino un discorso, una teoria.
Ma noi abbiamo paura di soffrire. Perché abbiamo paura di soffrire? Perché non vogliamo amare, perché più ami più soffri non c’è niente da fare. E più cresci nel tuo rapporto con Cristo, più impari la sua sensibilità. Quando Dio ti chiede di essere testimone di Lui nel mondo, ti fa entrare nel Getsemani: Gesù risorto si mostra con le sue piaghe, vi ricordate dell’episodio di Tommaso?
Si può essere “funzionari” di Cristo, ma se Lui non è la ragione della vita tu non soffri. Voler eliminare il dolore significa voler eliminare l’io, la possibilità di dire veramente io.
Ad un sacerdote che si è fatto mandare in missione fuori dall’Italia perché si era innamorato di una donna e volevo dimenticarla ho detto: Cretino! Perché vuoi dimenticare? Per eliminare la ferita e diventare un borghese! Devi imparare ad amare da uomo e lei, questa donna, c’è per farti amare ancora di più la tua vocazione sacerdotale e Cristo. Cari amici, in tutto quello che vi ho detto c’è una cosa fondamentale senza la quale sarebbe impossibile reggere: occorrono degli amici che ci abbraccino, perché loro sono il segno più potente della tenerezza di Dio per me. Dio, che prima ancora che mia madre mi concepisse ha pronunciato il mio nome, mi raggiunge ora grazie al volto di Carròn, Cleuza e Marcos. La malattia, la disperazione, si sconfigge solo se c’è qualcuno che ti abbraccia».
Padre Aldo finisce di parlare, posa il microfono e si asciuga la fronte madida di sudore con un fazzoletto. Nessuno si muove: sono tutti con gli occhi sgranati di fronte a lui. All’improvviso risuona la canzone che annuncia l’apertura dei padiglioni della fiera al pubblico e che ha accompagnato i visitatori per tutta la settimana; “Al final de este viaje en la vida” che in una strofa recita: “quedamos los que puedan sonreìr en medio de la muerte, en plena luz”: siamo quelli che possono sorridere in mezzo alla morte, in pieno giorno. Udire queste parole adesso dopo aver ascoltato la testimonianza di padre Aldo sembra l’avverarsi di una profezia: davvero l’esistenza è una immensa certezza! 


domenica 11 settembre 2011

Lo stile come disciplina di vita

La parola stile ricorre frequentemente nei discorsi di tutti i giorni: ci si riferisce ad essa quando si parla di un certo edificio, oppure per collocare in un determinato periodo storico un’opera letteraria, o ancora per indicare un modo di vestire nel quale il termine stesso può divenire un giudizio di valore su una persona, ecc… Ma a ben riflettere il concetto di stile è quanto di più aleatorio e sfuggente ci possa essere poiché esso si rifiuta di essere inscritto nei limiti angusti di una definizione univoca. A partire proprio dalla molteplicità dei significati che tale termine può assumere, sei persone, «non legate tra loro né da discipline né da altri misteriosi elementi […] che non siano la stima e l’amicizia», ciascuna affrontando la questione dalla prospettiva peculiare del proprio campo di ricerca (architettonico, urbanistico, filosofico e letterario), si sono cimentate nel tentativo, definito da loro stesse “ambizioso ed umile”, di trovare una teoria generale dello stile. Ha visto la luce così un interessante volume intitolato “Singolarità e formularità. Saggi per una teoria generale dello stile”, che, fedele al precetto schopenhaueriano, condiviso dagli autori, secondo cui «la prima regola, e forse l’unica del buono stile è che si abbia qualcosa da dire», vuole mostrare come ogni sapere, anche il più specialistico, ha qualcosa da dire a studiosi di altre discipline pena lo smarrimento del senso di unitarietà del contesto in cui questo sapere agisce.


Pubblicato su La Sicilia giovedì 8 settembre 2011

sabato 3 settembre 2011

L'impegno cattolico nella società. Saggi su Alberto Monticone

L’impegno civile dei cattolici nella società è un tema di estremo interesse ritornato recentemente in auge anche grazie alle parole di Benedetto XVI che, durante il suo ultimo viaggio a Venezia lo scorso maggio, ha ricordato che oggi c’è “più che mai bisogno di vedere persone, soprattutto giovani, capaci di edificare una vita buona a favore e al servizio di tutti” sottolineando come “a questo impegno non possono sottrarsi i cristiani”. In questa direzione si muove il volume curato da Angelo Sindoni e Mario Tosti che raccoglie una serie di studi storici in onore di Alberto Monticone, insigne storico e personaggio di assoluto rilievo nel panorama culturale e politico odierno, il quale ha da sempre coltivato ampi interessi, dalla storia della Chiesa in età moderna e contemporanea, alla storia dell’associazionismo cattolico, passando per la storia militare italiana, fino agli studi sul fascismo, che lo hanno reso una figura di riferimento per numerosi storici. Il fil rouge che lega i vari saggi raccolti da Sindoni e Tosti, che amici ed allievi hanno voluto offrire a Monticone a coronamento di una lunga e feconda attività di studioso, è che la vita religiosa di ciascuno non può essere vissuta solamente nell’intimità della propria coscienza, ma deve costituire il banco di prova attraverso cui affrontare i nodi cruciali che la civiltà odierna pone innanzi quotidianamente.



Pubblicato su La Sicilia venerdì 2 settembre 2011