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venerdì 18 aprile 2014

Barabba, il carcerato che incontra Cristo ma rimane scettico

[foto D. Anastasi]
Per la quinta volta nell’arco di due anni la casa circondariale di piazza Lanza si trasforma in un palcoscenico nel quale i detenuti diventano attori, costumisti  e spettatori privilegiati.  E dopo l’opera teatrale di Sartre, rappresentata lo scorso gennaio, ad andare in scena questa volta è stato il “Barabba”, capolavoro dello scrittore e premio Nobel svedese Pär Lagerkvist, uno scritto che racconta, grazie alla possente vis creativa del suo autore, le vicende successive alla morte di Cristo occorse al malfattore che la folla dei giudei di Gerusalemme ha voluto a gran voce libero proprio al posto di Gesù. L’incontro con il Nazareno nella vita di Barabba, seppur per un breve istante, ha fatto irruzione in modo del tutto imprevisto e segnerà intensamente la sua vita: egli avrò sempre la percezione confusa di aver fatto un incontro eccezionale, però non riuscirà mai a dare un nome a questa Presenza non comprendendo quindi fino in fondo il senso più vero di quell’incontro. Il suo imbattersi poi durante le sue peripezie in Pietro e nei discepoli e in altri personaggi come la Leporina o lo schiavo frigio Sahak, gli ricorderanno ancora una volta il volto di quell’Uomo che lo ha salvato dalla croce ma egli anche allora non comprende rimanendo pervicacemente ancorato alla sua solitudine e alla sua ambiguità. Si tratta di un testo assai complesso nato come romanzo e che dunque ha dovuto essere ridotto e adattato alla forma teatrale. Un progetto questo che è riuscito a concretizzarsi grazie anche all’eccellente collaborazione con la direzione del carcere, nella persona della dottoressa Elisabetta Zito e del comandante della polizia penitenziaria, Salvatore Tramontana. A guidare i detenuti-attori nella realizzazione di questo dramma per mezzo del laboratorio espressivo-teatrale è stato ancora una volta Alfio Pennisi, preside del liceo Spedalieri, e tutti i volontari della cappellania in sinergia con gli educatori ed i professori che operano all’interno del carcere catanese. Giovanna Pappalardo, una delle volontarie, insieme alle detenute, ha curato meticolosamente la realizzazione dei costumi di scena che gli attori hanno poi indossato durante la rappresentazione. Si tratta ovviamente di attori non professionisti ma la grandissima attenzione e il clima di grande silenzio da parte  dei detenuti che affollavano le panche della cappella del carcere, prestata per l’occasione a divenire il palcoscenico della rappresentazione, hanno testimoniato il grande impegno e la dedizione che i detenuti-attori hanno messo in questo lavoro e che per molti è stata la grande occasione di scoprire talenti nascosti di cui non sospettavano l’esistenza.  Nell’intero arco della giornata si sono svolte tre repliche, due alla mattina, per consentire a tutti i detenuti di partecipare, e una al pomeriggio riservata esclusivamente ai familiari degli attori. È questo forse il momento più intenso ed emozionante perché attori e pubblico sono profondamente uniti gli uni agli altri e così il dramma che tocca Barabba pare diventare il dramma di ciascuno di noi: imbattersi nell’evento eccezionale del Dio fatto uomo, subirne tutto il fascino, ma rimanere ultimamente ai margini senza comprendere davvero quello che ci è accaduto. Eppure la messa in scena di questo spettacolo nel cuore della Settimana Santa, nell’imminenza delle festività pasquali vuole forse ricordare ad ognuno che, come ha ricordato il Papa, «non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, [perché] sappiamo bene che la vita con Gesù diventa molto più piena e che con Lui è più facile trovare il senso di ogni cosa». Un episodio contribuisce ad avvalorare e a dare ancora più consistenza a queste parole: la mattina della rappresentazione viene comunicato all’attrice che impersonava la Leporina  che le sono stati concessi i domiciliari. Lei però ha deciso di rimanere in carcere  qualche ora in più per poter recitare nel pomeriggio davanti ai suoi familiari.

Pubblicato su La Sicilia giovedì 17 Aprile 2014

mercoledì 16 aprile 2014

Wojtyla e Roncalli santi, evento mediatico in 3D

Tre milioni di persone, in pratica l’equivalente degli abitanti di Roma, sono attese il 27 aprile in piazza S. Pietro e nelle zone limitrofe per assistere alla canonizzazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, i due papi che hanno segnato la storia della Chiesa e del mondo. Un numero impressionante certo, ma irrisorio se paragonato alle decine di milioni di persone che, pur non essendo fisicamente presenti a Roma, vorranno partecipare a quest’ avvenimento così importante. Chi si occuperà di portare Roma al mondo intero domenica 27 aprile sarà il Centro Televisivo Vaticano che ormai da molti mesi è all’opera per organizzare e gestire dal punto di vista mediatico l’evento dell’anno. A guidare tutte le operazioni c’è Mons. Dario Edoardo Viganò, direttore del CTV, al quale abbiamo chiesto di raccontare in che modo lui ed i suoi collaboratori si stanno preparando ad affrontare questa sfida appassionante.

Mons. Viganò da quanto tempo state lavorando alla gestione mediatica delle canonizzazioni del prossimo 27 aprile?
«Nell’ottobre dello scorso anno abbiamo dato forma alla nostra idea e abbiamo individuato alcuni partner tecnologici a cui avremmo potuto presentare il progetto. Dopo un paio di mesi in cui ci sono stati alcuni briefing preparatori in cui abbiamo messo meglio a fuoco i dettagli, a dicembre abbiamo organizzato un meeting al quale sono stati invitati i partner tecnologici che avevamo scelto e abbiamo fissato un piano di lavoro con scadenze ben precise. Giusto in questi giorni abbiamo una serie di incontri, molto ravvicinati nel tempo, per mettere a punto gli ultimi particolari tecnici».

Che ruolo ha svolto in passato la televisione nel comunicare gli eventi ecclesiastici?
«La televisione, che ha raccontato per la prima volta il Vaticano II, ha permesso di far comprendere che la Chiesa è un insieme di diversità e raggruppa, tenendole insieme, persone che provengono da mondi affatto diversi. La cattolicità, cioè l’universalità della Chiesa, un concetto relegato fino ad allora alla sfera teologica, è stata resa manifesta grazie alla televisione che ha mostrato al mondo i volti, i colori della pelle e gli abiti dei tanti vescovi che partecipavano al Concilio».

E oggi quali sono le principali novità che verranno introdotte considerando che non è la prima volta che il CTV gestisce la comunicazione di un grosso evento mediatico riguardante la vita della Chiesa?
«Ci saranno tre segnali di produzione, tutti e tre prodotti dal CTV, in tre formati differenti. Avremo l’ HD, che è il nostro formato tradizionale, il 3D e poi anche  l’ultra HD o 4K. Il motivo per cui abbiamo scelto di differenziare in questo modo i segnali risponde ad una diversa modalità di comunicare l’evento delle canonizzazioni: il “classico” HD è quello usato nel circuito internazionale e trasmesso da tutte le televisioni del mondo. Ho scelto invece la tecnologia 3D pensando alle moltissime persone che magari vorrebbero essere presenti ma che di fatto, soprattutto in questo momento di crisi in cui diventa problematico affrontare spese di viaggio e soggiorno a Roma, non potranno esserci. Il 3D allora è stato pensato non come curiosità tecnologica, ma per consentire a coloro i quali possiedono una smart TV di percepirsi “dentro”, come se fossero in mezzo alla gente in piazza S. Pietro e dunque di vivere una fruizione totalmente immersiva dell’evento. Il 4K è un formato che ancora non può essere distribuito in Italia ma è stato scelto per soddisfare una delle mission del CTV che è quella della documentazione. Questo formato infatti potrà essere molto utile tra qualche anno agli storici per le loro ricerche presso gli archivi audiovisivi che presto affiancheranno le biblioteche cartacee, anzi dirò che una delle nuove frontiere della ricerca storica sarà proprio la “visual history”».

A proposito del 3D quale potrebbe essere, secondo lei, il valore aggiunto di questa tecnologia in un evento ecclesiale di così grande portata?
 «Abbiamo pensato di distribuire il segnale 3D, oltre alle case che dispongono di TV adatte, anche nei cinema che supportano la tecnologia a tre dimensioni. In questo senso fino ad oggi ci è pervenuta la richiesta da oltre venti paesi, dall’America all’Australia, di poter distribuire il segnale in oltre 600 sale cinematografiche del mondo. Ecco allora che il valore aggiunto del 3D appare evidente perché un grandissimo numero di persone potrà “vivere” l’avvenimento di piazza S. Pietro come se si trovasse realmente lì. In questo senso abbiamo scelto accuratamente dopo tre sopralluoghi la dislocazione delle 13 telecamere in 3D, oltre a quelle in HD e 4K, in modo tale da enfatizzare al massimo l’effetto tridimensionale rispettando comunque le esigenze della celebrazione liturgica».

Lei personalmente come sta vivendo l’attesa del 27 aprile?
«Beh diciamo con grande fatica perché questi incontri preparatori sono stati e sono molto complessi; con grande senso di sfida perché un evento del genere, di portata mondiale, non è mai stato realizzato in questo modo, basti pensare al fatto che verranno utilizzati ben nove satelliti mentre per le olimpiadi invernali di Sochi ne sono stati usati solo quattro; ma anche con grande tranquillità perché so di poter contare sull’intero staff del CTV che è costituito davvero da professionisti straordinari».


Pubblicato su La Sicilia mercoledì 16 Aprile 2014






giovedì 10 aprile 2014

Violini: "Sentenza demolitiva"

Nel decimo anno dall’entrata in vigore della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita un pronunciamento della Corte Costituzionale rischia seriamente di far naufragare un provvedimento che, sin dalla sua promulgazione, ha suscitato una miriade di polemiche tra coloro che vedevano in esso una sorta di argine al “far west” procreativo e coloro che invece vi ravvisavano una violazione dei diritti delle singole persone alla propria autodeterminazione. La Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli articoli della legge riguardanti la fecondazione eterologa che consiste nella possibilità di ricorrere a gameti “esterni” alla coppia se uno dei due partner è sterile. Abbiamo chiesto a Lorenza Violini, ordinario di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Milano, che si è trovata a Catania per partecipare ad un seminario su “Europa dei diritti e della persona” organizzato dal Camplus d’Aragona, un giudizio su questa decisione della Corte Costituzionale.
Professoressa qual è la sua opinione sulla sentenza della Consulta?
«Mi sembra una sentenza molto particolare perché compie una valutazione sostanziale di alcuni articoli cardine della legge che invece a mio avviso avevano una loro razionalità. Si tratta tra l’altro di una sentenza demolitiva in quanto dichiarando incostituzionali sia l’articolo 4, sia il 9 che il 12 è come se estirpasse dalla legge tutto il divieto fino alle radici lasciando campo libero alle scelte dei singoli e dei medici e non definisce ad esempio se la donazione dei gameti deve essere gratuita o a pagamento. Non chiarisce inoltre le posizioni giuridiche del donatore rispetto al figlio e le posizioni giuridiche del padre rispetto al figlio il quale, non essendo “geneticamente” suo, può essere disconosciuto, cosa che l’articolo 9 comma 1 della legge invece proibiva. Tutto questo devo dire mi sembra un risultato abbastanza sconcertante».
Secondo lei ci troviamo di fronte ad un mutamento del concetto di madre in forza dell’arbitrio del legislatore?
«A questo punto credo di sì. Abbiamo modificato la legge e quindi abbiamo modificato un elemento sostanziale che è proprio il concetto di madre. Anche questo è un elemento sorprendente perché di norma succede il contrario: non è l’elemento giuridico a cambiare la sostanza, ma è la sostanza che cambia l’elemento giuridico. Siamo di fronte a fenomeni la cui portata in questo momento ci è oscura ed anche le conseguenze giuridiche e sociali per il momento restano oscure. Io auspico davvero che si apra un confronto forte proprio sulla sostanza delle cose, sul senso della maternità e della paternità».
Oggi manca un confronto serio a suo giudizio?
«Ne sono convinta. Oggi si stanno eliminando tute quelle barriere che l’ordinamento ha introdotto perché le ha giudicate razionali all’interno sempre di limiti naturali ma sugli effetti di questa eliminazione invece non si ragiona, non c’è un confronto semplice, serio, senza pregiudizi. Si operano, ancora una volta, interventi giurisprudenziali che agiscono palesemente sul senso della norma. Sono scelte unilaterali, che dovrebbero essere applicate al caso singolo ed invece hanno un riverbero importante sulla generalità. Questo, ancora una volta, è un fenomeno che deve far riflettere perché ultimamente ogni giudice può diventare l’arbitro della legge. Si fa presto ad abolire i limiti, ma ricostruirli poi a fronte di questioni che nel tempo dovessero emergere diventa davvero molto più complicato».
I detrattori della legge 40 affermano che le norme devono evitare di porre limiti alla libertà personale…
«Una posizione che in effetti oggi è vincente perché, secondo me, va a pescare in quella naturale ed infinita tendenza che l’uomo ha di essere felice.Ma questo desiderio infinito dell’uomo però non può coincidere con l’illimitatezza delle sue pretese, né tantomeno la legge può diventare lo strumento per rispondere a questa infinitezza de desiderio. Sono questioni che impegneranno seriamente non solo noi giuristi ma anche la società nella sua interezza.


Pubblicato su La Sicilia giovedì 10 Aprile 2014