[foto D. Anastasi] |
Per la quinta volta nell’arco di due anni la casa
circondariale di piazza Lanza si trasforma in un palcoscenico nel quale i
detenuti diventano attori, costumisti e
spettatori privilegiati. E dopo l’opera
teatrale di Sartre, rappresentata lo scorso gennaio, ad andare in scena questa
volta è stato il “Barabba”, capolavoro dello scrittore e premio Nobel svedese
Pär Lagerkvist, uno scritto che racconta, grazie alla possente vis creativa del
suo autore, le vicende successive alla morte di Cristo occorse al malfattore
che la folla dei giudei di Gerusalemme ha voluto a gran voce libero proprio al
posto di Gesù. L’incontro con il Nazareno nella vita di Barabba, seppur per un
breve istante, ha fatto irruzione in modo del tutto imprevisto e segnerà
intensamente la sua vita: egli avrò sempre la percezione confusa di aver fatto
un incontro eccezionale, però non riuscirà mai a dare un nome a questa Presenza
non comprendendo quindi fino in fondo il senso più vero di quell’incontro. Il
suo imbattersi poi durante le sue peripezie in Pietro e nei discepoli e in
altri personaggi come la
Leporina o lo schiavo frigio Sahak, gli ricorderanno ancora
una volta il volto di quell’Uomo che lo ha salvato dalla croce ma egli anche
allora non comprende rimanendo pervicacemente ancorato alla sua solitudine e
alla sua ambiguità. Si tratta di un testo assai complesso nato come romanzo e
che dunque ha dovuto essere ridotto e adattato alla forma teatrale. Un progetto
questo che è riuscito a concretizzarsi grazie anche all’eccellente collaborazione
con la direzione del carcere, nella persona della dottoressa Elisabetta Zito e
del comandante della polizia penitenziaria, Salvatore Tramontana. A guidare i
detenuti-attori nella realizzazione di questo dramma per mezzo del laboratorio
espressivo-teatrale è stato ancora una volta Alfio Pennisi, preside del liceo
Spedalieri, e tutti i volontari della cappellania in sinergia con gli educatori
ed i professori che operano all’interno del carcere catanese. Giovanna
Pappalardo, una delle volontarie, insieme alle detenute, ha curato
meticolosamente la realizzazione dei costumi di scena che gli attori hanno poi
indossato durante la rappresentazione. Si tratta ovviamente di attori non
professionisti ma la grandissima attenzione e il clima di grande silenzio da parte dei detenuti che affollavano le panche della
cappella del carcere, prestata per l’occasione a divenire il palcoscenico della
rappresentazione, hanno testimoniato il grande impegno e la dedizione che i
detenuti-attori hanno messo in questo lavoro e che per molti è stata la grande
occasione di scoprire talenti nascosti di cui non sospettavano l’esistenza. Nell’intero arco della giornata si sono svolte
tre repliche, due alla mattina, per consentire a tutti i detenuti di
partecipare, e una al pomeriggio riservata esclusivamente ai familiari degli
attori. È questo forse il momento più intenso ed emozionante perché attori e
pubblico sono profondamente uniti gli uni agli altri e così il dramma che tocca
Barabba pare diventare il dramma di ciascuno di noi: imbattersi nell’evento
eccezionale del Dio fatto uomo, subirne tutto il fascino, ma rimanere ultimamente
ai margini senza comprendere davvero quello che ci è accaduto. Eppure la messa
in scena di questo spettacolo nel cuore della Settimana Santa, nell’imminenza
delle festività pasquali vuole forse ricordare ad ognuno che, come ha ricordato
il Papa, «non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, [perché]
sappiamo bene che la vita con Gesù diventa molto più piena e che con Lui è più
facile trovare il senso di ogni cosa». Un episodio contribuisce ad avvalorare e
a dare ancora più consistenza a queste parole: la mattina della
rappresentazione viene comunicato all’attrice che impersonava la Leporina che le sono stati concessi i domiciliari. Lei
però ha deciso di rimanere in carcere
qualche ora in più per poter recitare nel pomeriggio davanti ai suoi
familiari.
Pubblicato su La Sicilia giovedì 17 Aprile 2014