[foto ANSA] |
Due anni fa era tra i
venticinque semifinalisti del “Campiello giovani”, il premio
letterario riservato agli scrittori in erba con un'età compresa tra
i 15 e i 22 anni; oggi la ritroviamo vincitrice, ancora un po'
incredula, della ventesima edizione del concorso. Eva Mascolino,
studentessa di Lingue e culture straniere all’università di
Catania, questa volta è riuscita a convincere i giudici che, il 12
settembre scorso, hanno deciso di premiare il suo “Je suis
Charlie”.
Eva quali sono state
le prime sensazioni che hanno accompagnato la vittoria del “Campiello
giovani”?
«Innanzitutto
molto stupore perché davvero non mi aspettavo di vincere. Un'altra
sensazione è stata certamente di orgoglio perché la notizia
è stata accolta in Sicilia con grande gioia, molta gente mi ha
telefonato dicendomi che era fiera di me e che la mia vittoria dava
lustro a tutta l'Isola. Spesso si ritiene infatti che la qualità
dell'istruzione nel meridione sia inferiore e quindi la vittoria in
un concorso letterario di una persona che si è formata interamente
al Sud è una bella soddisfazione per tutti».
Nella prima intervista
su questo giornale raccontavi come scrivere fosse sì un aspetto
importante nella tua vita ma quasi una sorta di hobby. Alla luce di
questa vittoria come cambia il tuo rapporto con la scrittura?
«Beh
non è mai stata solo un hobby, io ho sempre puntato sul fatto che da
grande per me sarebbe divenuta qualcosa d'altro. Adesso siamo vicini
al punto, i cui contorni sono ancora un po' sbiaditi, in cui può
diventare anche un mestiere. Il mio ideale sarebbe scrivere opere,
curare personalmente la traduzione in altre lingue in modo che il
messaggio che desidero comunicare arrivi senza la mediazione di terzi
e poi, nel tempo libero, dedicarmi al giornalismo».
Tu studi Lingue
all’università di Catania, attualmente ti trovi in Francia per il
progetto “Erasmus”, il protagonista del tuo racconto è un
francese e la storia si snoda tra la Sicilia e Parigi sullo sfondo
del terribile attentato alla redazione di “Charlie Hebdo”. C'è
qualcosa che ti lega particolarmente al paese transalpino?
«Certamente
sì. Il mio racconto era nato inizialmente proprio per raccontare la
bellezza di Parigi, una bellezza che può diventare ossessiva, una
bellezza che può far male, fino a far perdere addirittura
l'orientamento di sé. Mi è capitata fra le altre cose una cosa
piuttosto singolare: ho realizzato l'ambientazione del mio racconto
molti mesi prima di conoscere la destinazione del mio Erasmus.
Scoprire poi che avrei studiato nella stessa città scelta da me come
luogo di nascita del mio protagonista mi ha colpito profondamente.
Quindi posso ben dire che tra me e la Francia c'è un legame
profondo, viscerale quasi».
Volevi scrivere un
racconto su Parigi, nel frattempo è accaduto l'attentato a “Charlie
Hebdo”. Perché hai deciso di inserire questo fatto di cronaca
nella costruzione del tuo lavoro?
«Non
riuscivo a trovare una trama stabile sul tema della bellezza
stordente di Parigi. Poi c'è stato l'attentato. Mi sono accorta che
i media manifestavano un interesse molto morboso per tutto quello che
era successo. L'attentato ha colpito tutti ma alcuni l'hanno
enfatizzato specialmente perché è successo nella civilissima
Europa, fosse successo in Etiopia nessuno se ne sarebbe occupato.
Questa cosa mi ha indignata. Il mio personaggio, che nel nucleo
narrativo originario già faceva il vignettista, l'ho collegato alla
vicenda di Charlie Hebdo in modo tale da legare alla trama originale
il tema della denuncia sociale».
La realtà in questo
caso ha preso, quasi di forza, il sopravvento. Com'è per uno
scrittore il rapporto con la realtà?
«La
realtà è uno spunto fortissimo e di sicuro senza realtà non ci
sarebbe scrittura perché la fantasia per mettersi in moto necessita
di molti input esterni. La realtà è la materia prima per plasmare
quello che penso, che sento e che poi vale la pena di scrivere. La
scrittura poi secondo me è anche un modo per proteggersi perché
attraverso di essa si decide cosa filtrare della realtà e anche si
riesce a darle un'interpretazione, ad inserirla in un quadro che sia
compiuto perché in un racconto ci sono sempre un inizio e una fine.
Però la realtà è fondamentale. Senza realtà non scriverei nulla».
Pubblicato su La Sicilia martedì 15 Settembre 2015