La volta celeste era puntellata da una coltre di miriadi di stelle e un barbaglio d'argento si diffondeva per l'aria gelida e limpida della notte. Un grande silenzio regnava tutt'intorno, rotto solo di tanto in tanto dal lamento lontano dello sciacallo.
Tobia uscì dalla sua tenda e con un brivido si avvolse nel mantello. Alzò il viso verso il cielo, inspirò profondamente chiudendo gli occhi, e subito avvertì come una specie di vertigine che lo fece vacillare: il freddo era così intenso che gli penetrava nel petto come una lama affilata; poi si avviò lentamente verso nord ma fatti pochi passi si fermò, si girò come per ritornare indietro e rimase così, immobile con il busto un po' girato da un lato, le mani reggevano un lembo del mantello che gli copriva il capo e tremavano leggermente; ma subito, come per scacciare un pensiero molesto, si voltò riprendendo il cammino a passi veloci e ben presto fu lontano dall'accampamento, si distingueva appena il fuoco che illuminava fiocamente le tende disposte a semicerchio, da solo, nella immensa vastità del deserto e del cielo.
Lì cadde in ginocchio e alzando le braccia protendendo le mani al cielo esclamò: «Tu sei giusto Signore e agisci con misericordia e lealtà. Guardami, Signore, ricordati di me: il mio tempo sta per passare e non ho ancora avuto la benedizione di una sposa che divida con me le gioie e gli affanni della vita, a cui possa donare tutto me stesso secondo la Tua volontà: sarebbe la pupilla dei miei occhi e la regina della mia casa; la amerei e onorerei come furono amate e onorate la madre Eva, e Sara e Rebecca e Rachele. Forse che i miei peccati o le colpe dei miei padri sono così grandi da non meritare la Tua grazia? Non abbandonarmi, Adonai, soccorrimi perchè sento il mio spirito farsi debole e venire meno.» Mentre così pregava e le parole si mischiavano alle lacrime che solcavano le sue gote, il silenzio intorno divenne totale, tacquero gli sciacalli e tutti gli animali del deserto, e si levò una tenue brezza proveniente dal mare. Le stelle che illuminavano la notte parevano essersi moltiplicate e ingrandite, somigliavano alle pietre preziose che adornano le mura del palazzo del re Salmanàssar. Sembrava che la terra e il cielo tacessero in attesa di qualcosa che di lì a poco sarebbe accaduta. Nel frattempo la chiarìa cresceva sempre più... Ad un tratto fu come se il cielo avesse preso fuoco e una luce accecante investì Tobia che fu costretto a chinare la faccia a terra e coprire il volto con le mani.
Nello stesso istante sentì una voce che lo chiamava: - «Tobia, Tobia».
Era una voce che non aveva mai udito prima, possente e terribile come il rombo del tuono, ma allo stesso tempo dolce e soave come il miele selvatico appena raccolto.
Tobia rispose: - «Eccomi, Signore.»
Quando Tobia riaprì gli occhi e levò in alto lo sguardo, la luce accecante era scomparsa e insieme a lei la brezza proveniente dal mare; tutto era tornato come prima, le stelle diffondevano il loro chiarore argenteo tutt'intorno, il freddo era diventato più pungente e le bestie selvatiche si udivano in lontananza di tanto in tanto. Avrebbe potuto pensare di aver sognato se a pochi passi da lui, dove prima non vi era altro che sabbia e nuda roccia, non fosse sbocciata una fresia bianchissima, ritta nel suo esile ma pur tenace stelo che sembrava spandere intorno un po' di quella luce che un momento prima aveva costretto Tobia con la faccia a terra. Rizzandosi in piedi e riprendendo la strada verso l'accampamento,certo ormai di non essere stato vittima di una allucinazione, egli ritornava con la mente alle parole udite e sentiva dentro di sé una gioia e una pace come da tanto, tanto tempo non provava... Nel frattempo, annunciata ad oriente dalla stella del mattino, l'aurora dileguava l'ombra della notte.
(*) Tobia significa infatti “Jahvè è buono”