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venerdì 10 settembre 2010

TOBIA (o della vocazione)

La volta celeste era puntellata da una coltre di miriadi di stelle e un barbaglio d'argento si diffondeva per l'aria gelida e limpida della notte. Un grande silenzio regnava tutt'intorno, rotto solo di tanto in tanto dal lamento lontano dello sciacallo. 
Tobia uscì dalla sua tenda e con un brivido si avvolse nel mantello. Alzò il viso verso il cielo, inspirò profondamente chiudendo gli occhi, e subito avvertì come una specie di vertigine che lo fece vacillare: il freddo era così intenso che gli penetrava nel petto come una lama affilata; poi si avviò lentamente verso nord ma fatti pochi passi si fermò, si girò come per ritornare indietro e rimase così, immobile con il busto un po' girato da un lato, le mani reggevano un lembo del mantello che gli copriva il capo e tremavano leggermente; ma subito, come per scacciare un pensiero molesto, si voltò riprendendo il cammino a passi veloci e ben presto fu lontano dall'accampamento, si distingueva appena il fuoco che illuminava fiocamente le tende disposte a semicerchio, da solo, nella immensa vastità del deserto e del cielo.
Lì cadde in ginocchio e alzando le braccia protendendo le mani al cielo esclamò: «Tu sei giusto Signore e agisci con misericordia e lealtà. Guardami, Signore, ricordati di me: il mio tempo sta per passare e non ho ancora avuto la benedizione di una sposa che divida con me le gioie e gli affanni della vita, a cui possa donare tutto me stesso secondo la Tua volontà: sarebbe la pupilla dei miei occhi e la regina della mia casa; la amerei e onorerei come furono amate e onorate la madre Eva, e Sara e Rebecca e Rachele. Forse che i miei peccati o le colpe dei miei padri sono così grandi da non meritare la Tua grazia? Non abbandonarmi, Adonai, soccorrimi perchè sento il mio spirito farsi debole e venire meno.» Mentre così pregava e le parole si mischiavano alle lacrime che solcavano le sue gote, il silenzio intorno divenne totale, tacquero gli sciacalli e tutti gli animali del deserto, e si levò una tenue brezza proveniente dal mare. Le stelle che illuminavano la notte parevano essersi moltiplicate e ingrandite, somigliavano alle pietre preziose che adornano le mura del palazzo del re Salmanàssar. Sembrava che la terra e il cielo tacessero in attesa di qualcosa che di lì a poco sarebbe accaduta. Nel frattempo la chiarìa cresceva sempre più... Ad un tratto fu come se il cielo avesse preso fuoco e una luce accecante investì Tobia che fu costretto a chinare la faccia a terra e coprire il volto con le mani.
Nello stesso istante sentì una voce che lo chiamava: - «Tobia, Tobia».
Era una voce che non aveva mai udito prima, possente e terribile come il rombo del tuono, ma allo stesso tempo dolce e soave come il miele selvatico appena raccolto.
Tobia rispose: - «Eccomi, Signore.»
La Voce riprese: - «Figlio mio, ho udito il tuo grido e il tuo pianto. Credi forse che ti abbia dimenticato? Conosci in tutto Israele una donna che non abbia a cuore, che si dimentichi del suo bambino? Anche fra i popoli che non conoscono il Mio nome le donne hanno cura dei loro figli e darebbero perfino la loro stessa vita se un pericolo li minacciasse. Ma anche se ci fosse una povera donna che si dimenticasse io non dimentico mai. Davanti al tuo grido il Mio intimo freme di compassione; Io che ti ho disegnato sulle palme delle Mie mani e che informe ho visto prima ancora che tua madre ti stringesse al suo seno potrò mai abbandonarti? Ma ecco, è necessario che tu percorra fino in fondo la strada che Io stesso ho tracciato per te affinchè la casa che tu vuoi edificare sia fondata sulla roccia, anzi tu stesso sia la roccia a cui affiderò colei che fin dall'eternità ho scelto per te; colei che come te è opera delle Mie mani; che, come te, amo di un amore infinito e a cui darei, darò a suo tempo, tutto. Nessuna stella del cielo, neppure la più lucente, nessun tesoro, custodito sulla terra o sul fondo degli abissi del mare, è più prezioso della mia creatura. Comprendi adesso perchè ne sono così geloso e non voglio che si perda? Che nessuno di voi si perda? Non temere, ti darò tutto, non subito, ma tutto. Il nome che porti ti rammenti sempre la Mia promessa.» (*)
Quando Tobia riaprì gli occhi e levò in alto lo sguardo, la luce accecante era scomparsa e insieme a lei la brezza proveniente dal mare; tutto era tornato come prima, le stelle diffondevano il loro chiarore argenteo tutt'intorno, il freddo era diventato più pungente e le bestie selvatiche si udivano in lontananza di tanto in tanto. Avrebbe potuto pensare di aver sognato se a pochi passi da lui, dove prima non vi era altro che sabbia e nuda roccia, non fosse sbocciata una fresia bianchissima, ritta nel suo esile ma pur tenace stelo che sembrava spandere intorno un po' di quella luce che un momento prima aveva costretto Tobia con la faccia a terra. Rizzandosi in piedi e riprendendo la strada verso l'accampamento,certo ormai di non essere stato vittima di una allucinazione, egli ritornava con la mente alle parole udite e sentiva dentro di sé una gioia e una pace come da tanto, tanto tempo non provava... Nel frattempo, annunciata ad oriente dalla stella del mattino, l'aurora dileguava l'ombra della notte.

(*) Tobia significa infatti “Jahvè è buono”


giovedì 9 settembre 2010

Bisogna compiere tutti i passi

Bisogna compiere tutti i passi. Non si possono fare salti. Un bimbo piccolo riesce a malapena a mettere un piede dopo l’altro, come potrebbe mettersi a saltellare per la stanza?
Un bimbo di un anno. Che corre su e giù per la stanza come uno di tre anni. Non si può. Non s’è mai visto.
Allo stesso modo l’amore tra l’uomo e la donna è come un bambino che muove i suoi primi passi. Un piede dopo l’altro; solo così riuscirà ad arrivare sicuro tra le braccia spalancate del suo papà che lo aspetta dall’altra parte della stanza.
Ma se si affretta correndo , le gambe non lo reggeranno, cadrà e si farà male: fortuna che il papà sta sempre attento e sarà pronto a raccoglierlo e consolarlo.
Ma sarebbe meglio non cadere.
Certo è bello essere raccolti e consolati dal papà che con santa pazienza ci rimette su ogni volta, ma lo fa perché vuole che impariamo a camminare e non vede l’ora di portare quel suo bimbetto al parco e vederlo scorrazzare felice su e giù inseguendo le farfalle o i pollini che la brezza del mattino fa volteggiare sul cielo.
Così è nell’amore tra l’uomo e la donna .
Un passo dopo l’altro.
Senza fretta.
E l’innamoramento è il primo passo.
Il piede destro davanti al piede sinistro.
Non c’è molto da rimuginarci sopra: accade.
Come una bella mattina di sole che non si può né prevedere né tantomeno programmare: accade.
Capita.
Che un bel volto mi attiri e io ne subisca tutto il fascino, anche travolgente.
Ma non basta. Non si può stare fermi.
Col piede destro davanti a quello sinistro. Fermi così.
E’ una posizione ben scomoda.
E poi bisogna camminare. Camminare, non correre. Per non rischiare di cadere.
Di fare un ruzzolone.
Occorre mettere il piede sinistro davanti a quello destro: fare un passo.
Non bisogna cedere solo all’impressione e all’incanto dei sensi perché la bellezza percepita dai sensi può essere un dono pericoloso, basta un niente e l’altro diventa il mio balocco preferito da usare quando ne ho voglia e buttare via quando mi ha stufato.
Spesso gli uomini si infliggono tra di loro questo male.
Vogliono fare un passo troppo lungo e il risultato è che finiscono giù lunghi per terra.
Occorre invece imparare ad apprezzare la bellezza percepibile con la ragione, cioè la verità.
Questo è un buon passo ulteriore. L’unico passo ulteriore da fare, che ci fa stare in piedi e ci avvicina un po’ di più a nostro Padre che è lì e ci attende a braccia aperte.
Si può benissimo amare senza aver subito voglia di afferrare il proprio caro amore.
Ci vuole una certa magnanimità, cioè una grandezza dell’animo, che non è una nostra capacità (noi pensiamo che lo sia), ma un carattere incancellabile della nostra natura, per dire una cosa del genere.
Bisogna amare gratuitamente.
Gratis. Amare l’altro perché c’è. E basta.
Verginità: amare con un distacco dentro.
Ma si può davvero amare così?
Chi può davvero amare così?
Solo quell’Uomo.
Solo Dio.
Solo quell’Uomo che è Dio, che per amore si è fatto uomo.
Perché colui che ama dipende da colui che egli ama (c’è poco da fare), fino al punto che il Creatore s’è fatto creatura e ha dato la vita per essa.
Dunque si può amare così a questo mondo.
E l’amore tra le creature è il più bel riflesso che c’è nel mondo dell’amore del Creatore.
Che spettacolo allora vedere due giovani, due teneri virgulti nel fiore degli anni, che si amano, che si rispettano, che si attendono, che si accolgono, che si commuovono l’uno per l’altra perché l’altro semplicemente c’è, c’è!
Nemmeno il monte Bianco in tutta la sua imponenza, non le aurore boreali nel Nord del mondo, non i geyser d’Islanda, non le alte e fragorose cascate del fiume Niagara e nemmeno le comete più luminose potranno mai eguagliare lo spettacolo di due giovani che si amano così.
E che infine decidono di promettersi davanti a Dio quell’eternità che il loro cuore desidera, ma che con le loro sole forze non sarebbero mai capaci di perseguire.
Chi non ha visto un uomo e una donna amarsi così, credetemi, non ha visto niente.