Mai come in questi ultimi tempi
voci si levano da più parti in favore della “dignità umana”. La si invoca contro
la carneficina di innocenti in Siria, contro l’ondata tragica di suicidi che
sta attanagliando l’Italia; la si chiama in causa parlando dei terremotati in Emilia
Romagna o della situazione indecente in cui versano le carceri italiane… Questa
espressione è entrata ormai nel nostro lessico abitudinario, con il risultato
però che è divenuta quasi uno stereotipo, una specie di ricca ed elaborata cornice
che racchiude tuttavia al suo interno una tela desolatamente bianca. Per
Gabriel Marcel, filosofo e drammaturgo francese vissuto nel secolo scorso,
invece il valore della persona umana era tutt’altro che una mera decorazione,
un intercalare linguistico. Ne “La dignità umana e le sue radici esistenziali”,
recentemente pubblicata in una nuova edizione italiana curata da Enrico
Piscione, appassionato studioso del pensiero marceliano, il filosofo parigino rivela
proprio come al di là di qualsiasi intellettualismo, fondato su una ragione
divenuta oramai il criterio per misurare ogni cosa, la dignità umana si scopre
nel momento in cui si riconosce l’uomo nella sua nudità e debolezza, dunque nel
volto del bambino, del vecchio e del misero. «Lo specifico di un soggetto –
scriveva Marcel – […] è che non si lascia ridurre ad una somma di elementi. Un essere
umano si pone al di là di tutte le possibili ricerche di cui potrebbero farlo
oggetto, per esempio, lo psicologo o il sociologo». L’intento del pensatore
francese è dunque quello di non rassegnarsi a vedere ridotto l’uomo ad un
fascio di funzioni e per questo vuole scavare nell’animo umano, senza
tralasciare o censurare nulla, per andare alla radice di quel mal-être, di quel
disagio interiore, acuito bin maggior
misura dalla incapacità a rintracciare un bene soddisfacente e durevole per la
propria vita, una caratteristica che sembra descrivere a perfezione l’uomo
moderno e che Marcel conosceva bene perché sperimentata personalmente, che rende
insostenibile l’esistenza. Accostandosi a questo scritto, che raccoglie una
serie di lezioni che il filosofo francese tenne all’università di Harvard tra
l’ottobre e il dicembre del 1961, occorre tenere ben presente l’elemento
“teatrale” che ne costituisce, insieme all’elemento filosofico, il fil rouge.
In esso non è narrato appena un itinerario speculativo, ma il cammino personale
che aveva condotto l’autore ad abbracciare la fede cattolica nel 1929. La
scoperta che ogni persona è insostituibile, anzi è l’insostituibile per antonomasia
in quanto imago Dei, schiude le porte alla vera dignità umana che, in quanto
tale, non abbandona l’uomo ad una solitudine autoreferenziale, ma lo apre alla
fraternità, all’abbraccio dell’altro, di colui che è il mio prossimo.
Pubblicato su La Sicilia mercoledì 13 giugno 2012