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sabato 16 giugno 2012

L'uomo nella sua nudità e debolezza

Mai come in questi ultimi tempi voci si levano da più parti in favore della “dignità umana”. La si invoca contro la carneficina di innocenti in Siria, contro l’ondata tragica di suicidi che sta attanagliando l’Italia; la si chiama in causa parlando dei terremotati in Emilia Romagna o della situazione indecente in cui versano le carceri italiane… Questa espressione è entrata ormai nel nostro lessico abitudinario, con il risultato però che è divenuta quasi uno stereotipo, una specie di ricca ed elaborata cornice che racchiude tuttavia al suo interno una tela desolatamente bianca. Per Gabriel Marcel, filosofo e drammaturgo francese vissuto nel secolo scorso, invece il valore della persona umana era tutt’altro che una mera decorazione, un intercalare linguistico. Ne “La dignità umana e le sue radici esistenziali”, recentemente pubblicata in una nuova edizione italiana curata da Enrico Piscione, appassionato studioso del pensiero marceliano, il filosofo parigino rivela proprio come al di là di qualsiasi intellettualismo, fondato su una ragione divenuta oramai il criterio per misurare ogni cosa, la dignità umana si scopre nel momento in cui si riconosce l’uomo nella sua nudità e debolezza, dunque nel volto del bambino, del vecchio e del misero. «Lo specifico di un soggetto – scriveva Marcel – […] è che non si lascia ridurre ad una somma di elementi. Un essere umano si pone al di là di tutte le possibili ricerche di cui potrebbero farlo oggetto, per esempio, lo psicologo o il sociologo». L’intento del pensatore francese è dunque quello di non rassegnarsi a vedere ridotto l’uomo ad un fascio di funzioni e per questo vuole scavare nell’animo umano, senza tralasciare o censurare nulla, per andare alla radice di quel mal-être, di quel disagio interiore, acuito  bin maggior misura dalla incapacità a rintracciare un bene soddisfacente e durevole per la propria vita, una caratteristica che sembra descrivere a perfezione l’uomo moderno e che Marcel conosceva bene perché sperimentata personalmente, che rende insostenibile l’esistenza. Accostandosi a questo scritto, che raccoglie una serie di lezioni che il filosofo francese tenne all’università di Harvard tra l’ottobre e il dicembre del 1961, occorre tenere ben presente l’elemento “teatrale” che ne costituisce, insieme all’elemento filosofico, il fil rouge. In esso non è narrato appena un itinerario speculativo, ma il cammino personale che aveva condotto l’autore ad abbracciare la fede cattolica nel 1929. La scoperta che ogni persona è insostituibile, anzi è l’insostituibile per antonomasia in quanto imago Dei, schiude le porte alla vera dignità umana che, in quanto tale, non abbandona l’uomo ad una solitudine autoreferenziale, ma lo apre alla fraternità, all’abbraccio dell’altro, di colui che è il mio prossimo. 



Pubblicato su La Sicilia mercoledì 13 giugno 2012