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mercoledì 4 maggio 2011

Legge e scelte etiche, itinerari di biodiritto

“Non omne quod licet honestum est”. Riflettere sul rapporto che intercorre tra la vita umana e il diritto non può prescindere, secondo il pensiero di Giovanni Di Rosa, ordinario di Diritto privato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Catania, da ciò che afferma il noto brocardo latino, secondo cui una legge «non rende un comportamento diverso da quello che oggettivamente esso è», rendendo giusto ciò che, con tutta evidenza, giusto non è. Partendo da questa iniziale considerazione, ha visto la luce un agile volume dal titolo singolare: “Biodiritto. Itinerari di ricerca” (Giappichelli Editore), che è il frutto, spiega l’autore, (anche) dell’esperienza maturata durante le lezioni di Biodiritto tenute all’Università e prende le mosse dal valore della persona e dalla centralità della vita umana sviluppandosi via via con l’esame delle discipline legislative più attuali in materia di trapianti d’organo, cure palliative e terapie del dolore, senza passare però sotto silenzio i temi più scottanti che tanto hanno infiammato l’opinione pubblica, dall’ammissibilità della diagnosi preimpianto in merito alle tecniche di fecondazione medicalmente assistita, al  caso Eluana Englaro, che ha contribuito ad alimentare il dibattito sulla questione se esiste un diritto a morire, se la persona ha il potere di disporre del proprio corpo in base ad un assoluto principio di autodeterminazione e se ha il diritto di dichiarare anticipatamente il tipo di trattamento sanitario che dovrebbe eventualmente ricevere. L’itinerario appassionante lungo il quale il lettore viene guidato, ripercorre idealmente le tappe fondamentali dell’esistenza umana, muovendo dalle vicende che riguardano l’alba dell’io (manipolato o negato), verso quelle che guardano allo svolgimento della vita (contestualmente all’indagine sugli atti dispositivi del proprio corpo), per giungere infine alle problematiche sollevate dalla “vita dolente” (dichiarazioni di trattamento anticipato, testamento biologico, eutanasia, cure palliative e terapie del dolore). Non è un testo per i soli “addetti ai lavori”, ma un’opportunità di riflessione per tutti a partire dall’attuale situazione normativa fondata su due importantissimi documenti, seppur di provenienza affatto diversa; la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e l’enciclica Humanae vitae di Paolo VI. Esso si rivolge a tutti coloro che desiderano andare al cuore di alcune questioni, consapevoli che esistono principi non negoziabili e limiti invalicabili all’autodeterminazione dell’uomo. La questione allora non è riproporre la dicotomia, stucchevole e sterile, tra bioetica laica e bioetica cattolica, ma confrontarsi serenamente e seriamente sui temi che riguardano quella che è la nostra più importante e irripetibile esperienza: la vita.



Pubblicato su La Sicilia mercoledì 4 maggio 2011

martedì 3 maggio 2011

Musica, risonanza del sublime

Un luogo comune molto ben radicato afferma la perfetta e insanabile estraneità fra la contemporaneità musicale e la tradizione religiosa. Invece è proprio la contemporaneità che esige di "seguire la traccia dell'antica memoria e della sua testimonianza". E’ questo il leitmotiv del saggio di Pierangelo Sequeri, ("La risonanza del sublime. L'idea spirituale della musica in Occidente."; Edizioni Studium Roma 2008) che vuol guidare il lettore in un viaggio, attraverso la forma del racconto, che prende le mosse dall'antica filosofia greca della musica, per giungere, dopo essersi soffermato ad interrogare le varie epoche della musica "composta ed ascoltata", all'età contemporanea, dove il nesso tra evoluzione della spiritualità religiosa ed evoluzione della coscienza estetica, ha raggiunto il suo culmine. Il Novecento musicale europeo è difatti incomprensibile prescindendo da questo rapporto, il cui esito non può essere spiegato semplicemente in termini di tecniche, gusti soggettivi e stili formali. Nella nostra cultura infatti musicale è l'uomo, primariamente; “non la natura, né gli dei, né le pulsioni di eros.” E' su quest’ idea, fiorita attraverso l'innesto dell'ethos greco nel Logos cristiano, che si è sviluppata la storia della musica occidentale la quale, dunque, si confronta costantemente e in modo diretto con i grandi temi della tradizione spirituale e religiosa.



Pubblicato su La Sicilia domenica 17 aprile 2011

La giustizia e la lezione di Socrate

La lettura di Platone è un piacere intenso. Nel grande Ateniese infatti il Logos filosofico raggiunge vertici di vera e propria arte attraverso la forma sublime dei dialoghi, che a ragione si possono annoverare tra i grandi capolavori della letteratura di tutti i tempi.
Gli studenti dei Licei che si avvicinano per la prima volta allo studio della filosofia, accanto al normale lavoro sul manuale dovrebbero avere la possibilità di accostarsi direttamente ad un “classico” della filosofia e quale miglior occasione, questa, per leggere Platone e cominciare così ad intraprendere la grande avventura del pensiero occidentale?
In questa prospettiva si colloca il lavoro condotto in sinergia da Enrico Piscione e Alfio Maglia che hanno recentemente curato una edizione “scolastica” del Critone (AG Edizioni) platonico, il primo dedicandosi in special modo all’introduzione ed agli approfondimenti bibliografici, alla traduzione e alle note culturali il secondo. Il pregio di questa edizione consiste, oltre alla veste grafica particolarmente curata, alla ottima traduzione fedele all’edizione del testo greco stabilita da J. Burnet corredata da un efficace apparato di note che intervengono al momento opportuno a spiegare i passaggi più oscuri del testo, ad un approfondimento bibliografico che anziché limitarsi ad un asettico elenco di opere offre una seppur breve antologia critica degli studiosi più autorevoli di Platone, anche  in una introduzione che coglie i punti essenziali del messaggio platonico contenuto nel dialogo attraverso un confronto serrato con ciò che la critica ha prodotto negli anni più recenti e introducendo una notazione sui generis come si vedrà fra poco. Inoltre la snellezza del formato la rende uno strumento particolarmente utile per lo studente che si accosti per la prima volta al testo platonico.
Il Critone rispetto ad altri dialoghi è un testo piuttosto breve, ma questo non implica però che esso sia facilmente intelligibile, anzi, ci avverte Piscione nella premessa all’opera, “se si scende in profondità, lo si trova irto di difficoltà interpretative”.
In primo luogo la data di composizione, che non è una questione di pura erudizione ma è determinante per comprendere appieno il significato del messaggio platonico. Infatti “la linea ermeneutica più recente, - prosegue il curatore- colloca l’opera prossima agli ultimi dialoghi platonici e qualche interprete si spinge ad affermare che il Critone è addirittura una sorta di “proemio alle Leggi” che, com’è noto, sono l’ultima opera di Platone”. Un dialogo della maturità dunque in cui viene dibattuto, attraverso il personaggio di Socrate prigioniero in attesa dell’esecuzione capitale, il problema dell’obbedienza alle leggi della Patria. L’altro protagonista del dialogo (a cui si deve il titolo) Critone, prova a convincere l’amico Socrate ad evadere dal carcere adducendo svariate motivazioni di natura pragmatica, ma il maestro di Platone è irremovibile dal suo proposito di non contravvenire alla sentenza dei magistrati di Atene perché, sostiene, “non si deve tenere in gran conto il vivere in se stesso, ma il vivere bene”, che equivale a “vivere con dignità e giustizia”.
Il carattere nomologico del dialogo è chiaramente messo in evidenza nella rigorosa introduzione di Piscione, che ripropone con scrupolosità le tesi di studiosi tra i più autorevoli intorno a quest’opera: il cittadino è presentato come doulos, ossia “servo” delle leggi, e questa prospettiva emerge quasi con prepotenza all’interno del dialogo nel contesto della grande prosopopea delle leggi, nella quale i Nomoi, le leggi personificate appunto, rivendicano per sé addirittura l’esistenza stessa di Socrate come uomo e come cittadino.Quindi, prosegue il curatore, “le Leggi nel dialogo esaminato assumono la caratteristica dell’assolutezza e, quindi, della divinità.
Ma, incalza Piscione, “esse sono eterne e assolute, portatrici di bene o nascono dalla volontà degli uomini che conseguono il potere? Sono le stesse in tutte le città o variano col variare del tempo e dei luoghi?” Ecco, a queste domande il testo platonico non risponde rivelando un punto debole nella struttura dell’intera opera e perciò “la carenza di un fondamento metafisico rischia di schiacciare ed eliminare la dignità della singola persona che non trova affatto nelle Leggi un interlocutore paritario e il singolo rimane uno schiavo delle Leggi stesse”.
E’ su tali questioni che il curatore fa acutamente notare, confortato dall’autorità di un grande pensatore quale è stato Romano Guardini,  come la posizione evangelica rovesci un tale concetto: “Cristo non nega il valore delle leggi e, in particolare, quella del sabato, ma afferma che la legge è per l’uomo e non viceversa”. L’uomo è imago Dei e quindi la legge, secondo il Nazareno, non si riduce ad “ottuso idolo che esige sacrifici umani”. C’è una legge dunque che è più profonda delle norme positive di derivazione umana ma Platone, pur nella sua immensa genialità, non arriva a coglierla, e di questo elemento di debolezza “il lettore presto s’accorge”. 



Pubblicato su La Sicilia domenica 20 marzo 2011