La nostra è un’epoca, lo si sente dire da più parti e spesso non a torto, di poche ed inquiete certezze nella quale il problema del metodo, cioè di una strada da percorrere, una strada esistenzialmente riconosciuta come valida, è di fondamentale importanza. Di questo modo di sentire si fa portavoce anche Armando Rigobello che, nella sua ultima fatica intellettuale, quasi a coronamento di un lungo e fecondo itinerario speculativo, indaga le “due vie” che si dipartono dalla filosofia la quale è giunta alle soglie del terzo millennio dopo essersi lasciata alle spalle l’impostazione fenomenologica, da cui, egli dice, non si può prescindere ma neppure ci si deve soffermare in essa. Vi è una “via breve”, ed è quella percorsa da Heidegger che, dopo aver abbandonato la metafisica, risoltasi oramai in scienza-tecnica in favore del pensiero poetante, attende la rivelazione di un Dio che venga a salvare l’uomo. Vi è invece una “via lunga”, tracciata da Ricoeur, nella quale l’interpretazione della vita vissuta, in tutta la pluralità delle sue forme, genera un conflitto che la fragile condizione umana non riesce a sanare. La soluzione non può trovarsi dunque facendo appello alle sole capacità dell’uomo ma deve di necessità aprirsi alla prospettiva religiosa, intesa però non come esito di una ricerca, ma come risposta ad una chiamata. Il fascino esistenziale della prospettiva heideggeriana è innegabile, prosegue Rigobello, ma è nel senso della “via lunga” che egli intende procedere, convinto che essa sia quella più idonea per comprendere sia il nostro tempo sia la stessa condizione umana. Il metodo adottato per procedere lungo questa via è singolare: occorre, dice il filosofo veneto, una “intenzionalità rovesciata” che della realtà, del mondo della cultura e della spiritualità, colga la ragione profonda. Sant’Agostino scriveva che «initium […] ut esset homo creatus est»; affinchè il mondo si possa dire realmente esistente (ci sia un vero inizio) occorre lo sguardo di un soggetto umano, che ponga una domanda attraverso la quale si cerca di comprendere il senso del reale. Ma la domanda radicale sul senso della realtà si intreccia inesorabilmente con la domanda di senso assolutamente personale di colui che interroga. E ogni domanda, incalza Rigobello, se pensata fino in fondo, rinvia alla domanda radicale sul senso ultimo della realtà e di ciascuno di noi che della realtà siamo parte. L’“intenzionalità rovesciata”, dalle forme simboliche del reale, per usare una celebre espressione di Ernst Cassirer, vuole condurre proprio verso quel senso finale, originario, in cui il percorso non si configura tanto come un esodo, ma come un compimento verso cui l’uomo, inteso come homo viator, tende.
Pubblicato su La Sicilia mercoledì 20 Luglio 2011