È divenuto un “dogma” della modernità l’adagio che la fede,
specialmente quella cristiana, e la ragione sono assolutamente inconciliabili.
Si sostiene infatti che la fede è frutto di un atteggiamento emotivo e sentimentale,
quasi una sorta di “rifugio interiore”, verso la realtà quotidiana che a volte
è incomprensibilmente drammatica e sfugge alle maglie fitte di una ragione che
vuole aggiogare ogni aspetto della vita alla sua misura. Ma anche per molti
cristiani Gesù è divenuto semplicemente un grande uomo del passato: il dramma
del cristianesimo oggi, sosteneva il filosofo francese Emmanuel Mounier, non
deriva dalla minaccia di una nuova eresia, ma da una sorta di tiepidezza, «una
specie di silenziosa apostasia provocata dall'indifferenza che lo circonda e
dalla sua propria distrazione». L’avvenimento di Cristo ridotto a dottrina e
morale, a pie regole per un quieto vivere, è un rischio a cui anche la Chiesa ed i cristiani sono
esposti e il risultato è quello di una fede monotona e insipida che nulla ha a
che vedere con la quotidianità della vita. Eppure le domande se la fede abbia
un qualche legame con la realtà concreta, se Gesù non sia appena un illustre
personaggio del passato, un rivoluzionario che predicava la pace e la
tolleranza fatto fuori dai potenti di turno, ma Dio stesso fattosi uomo, morto
e risorto, sono domande che in un senso o nell'altro esigono una risposta e non
possono essere semplicisticamente liquidate come “irrilevanti”: bisogna
prendere una posizione di fronte a Cristo, osservava Kierkegaard. L’Anno della
fede indetto dal Papa nell'ottobre scorso è stato l’occasione per la
realizzazione di una mostra itinerante dal titolo “Videro e credettero. La
bellezza e la gioia dell’essere cristiani”. Un rapporto del Censis di qualche tempo
fa rilevava come la nostra società fosse pericolosamente segnata da un senso di
vuoto, un vuoto acuito dalla apparente soddisfazione di ogni desiderio. Eppure
è un’esperienza piuttosto comune quella di avvertire un’ inquietudine rispetto
ad ogni cosa, “un’ansia arcana” che ci fa sospirar le stelle, la chiamava Pirandello.
È accaduto però nella storia un fatto che porta con sé una pretesa
assolutamente unica e originale: un uomo si è detto Dio. Gesù di Nazareth, un
uomo che si poteva incontrare, con cui si poteva chiacchierare, mangiare e
bere, ha preteso di identificare se stesso con il Mistero che fa tutte le cose,
ha preteso di essere la risposta ad ogni inquietudine e desiderio dell’uomo.
Occorre certamente una mossa della libertà umana: un sì che però non è frutto
di una elucubrazione, ma dell’esperienza di un incontro che investe la quotidianità
della vita per cui la fede non è più un fenomeno emozionale ma un fenomeno di
ragione: per credere occorre solo avere occhi buoni per guardare.
Pubblicato su La Sicilia mercoledì 30 Gennaio 2013