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giovedì 31 gennaio 2013

L'apostasia dei moderni sconfitta da un fatto

È divenuto un “dogma” della modernità l’adagio che la fede, specialmente quella cristiana, e la ragione sono assolutamente inconciliabili. Si sostiene infatti che la fede è frutto di un atteggiamento emotivo e sentimentale, quasi una sorta di “rifugio interiore”, verso la realtà quotidiana che a volte è incomprensibilmente drammatica e sfugge alle maglie fitte di una ragione che vuole aggiogare ogni aspetto della vita alla sua misura. Ma anche per molti cristiani Gesù è divenuto semplicemente un grande uomo del passato: il dramma del cristianesimo oggi, sosteneva il filosofo francese Emmanuel Mounier, non deriva dalla minaccia di una nuova eresia, ma da una sorta di tiepidezza, «una specie di silenziosa apostasia provocata dall'indifferenza che lo circonda e dalla sua propria distrazione». L’avvenimento di Cristo ridotto a dottrina e morale, a pie regole per un quieto vivere, è un rischio a cui anche la Chiesa ed i cristiani sono esposti e il risultato è quello di una fede monotona e insipida che nulla ha a che vedere con la quotidianità della vita. Eppure le domande se la fede abbia un qualche legame con la realtà concreta, se Gesù non sia appena un illustre personaggio del passato, un rivoluzionario che predicava la pace e la tolleranza fatto fuori dai potenti di turno, ma Dio stesso fattosi uomo, morto e risorto, sono domande che in un senso o nell'altro esigono una risposta e non possono essere semplicisticamente liquidate come “irrilevanti”: bisogna prendere una posizione di fronte a Cristo, osservava Kierkegaard. L’Anno della fede indetto dal Papa nell'ottobre scorso è stato l’occasione per la realizzazione di una mostra itinerante dal titolo “Videro e credettero. La bellezza e la gioia dell’essere cristiani”. Un rapporto del Censis di qualche tempo fa rilevava come la nostra società fosse pericolosamente segnata da un senso di vuoto, un vuoto acuito dalla apparente soddisfazione di ogni desiderio. Eppure è un’esperienza piuttosto comune quella di avvertire un’ inquietudine rispetto ad ogni cosa, “un’ansia arcana” che ci fa sospirar le stelle, la chiamava Pirandello. È accaduto però nella storia un fatto che porta con sé una pretesa assolutamente unica e originale: un uomo si è detto Dio. Gesù di Nazareth, un uomo che si poteva incontrare, con cui si poteva chiacchierare, mangiare e bere, ha preteso di identificare se stesso con il Mistero che fa tutte le cose, ha preteso di essere la risposta ad ogni inquietudine e desiderio dell’uomo. Occorre certamente una mossa della libertà umana: un sì che però non è frutto di una elucubrazione, ma dell’esperienza di un incontro che investe la quotidianità della vita per cui la fede non è più un fenomeno emozionale ma un fenomeno di ragione: per credere occorre solo avere occhi buoni per guardare.


Pubblicato su La Sicilia mercoledì 30 Gennaio 2013