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giovedì 3 ottobre 2013

Lampedusa

Lampedusa non è più il nome di un’isola, è il nome di un immenso cimitero. “Non sappiamo più dove mettere i morti” dice oggi qualcuno mentre, insieme a tanti altri, mette in fila i sacchi che custodiscono le spoglie mortali di uomini, donne e bambini di cui non sapremo mai il nome. Eritrea? Sì, quasi certamente. Somalia? Forse. Siria? Egitto? Sì, sì. Vengono da ogni luogo in cui c’è guerra, fame, violenze. Il copione è sempre lo stesso: disperazione, sacrificio, speranza e poi… Lampedusa, Catania, Scicli e chissà quanti altri ancora che prima di provare quell’emozione unica di avvistare un lembo di terra, una propaggine di spiaggia, sono stati inghiottiti nel fondo del Mediterraneo. Questa volta erano in 500 stipati all’inverosimile su un peschereccio andato a fuoco per la frenesia di farsi notare, di dire “Eccoci! Siamo qui anche noi, venite a salvarci!”. "Lutto nazionale domani" twitta il Presidente del Consiglio, sì giusto; "faremo sentire la nostra voce all’Europa" twitta il suo vice, benissimo; e poi tragedia, scandalo, cordoglio, turbamento, commozione: il ventaglio lessicale è molto ampio. Vergogna ha detto oggi il Papa; vergogna. Non scandalo, non cordoglio ma vergogna. Perché vergogna? Cosa fa uno che si vergogna? Si nasconde, cerca di non farsi vedere, di non farsi trovare. Perché sa che l’ha fatta grossa, ha combinato un casino. Riecheggia la domanda di Dio nel giardino dell’Eden: “Adamo dove sei?” “Ho avuto paura, perché ero nudo, e mi sono nascosto”. L’aveva ricordato il Papa, giusto tre mesi fa, giusto a Lampedusa: «Adamo è un uomo disorientato che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e questo si ripete anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere». Oggi allora è il tempo della vergogna, il tempo del nascondimento, del pianto e, ancora una volta, il tempo di domandare perdono. Non c’è spazio oggi per i proclami altisonanti e roboanti.