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giovedì 19 aprile 2012

Un giovane cavaliere fra sangue e congiure

Anno di Grazia 1133, monastero di Astino, situato nella valle omonima a ridosso della zona occidentale della città di Bergamo. È in questa cornice che si svolge la vicenda di Folco dei Lamberti e degli altri personaggi usciti dalla penna di Francesco Fadigati, giovane docente di lettere ed appassionato, fin dagli anni universitari, di storia e letteratura medioevale. Con “La congiura delle torri”, Fadigati entra di diritto nel mondo dei “romanzieri storici”, di coloro cioè che vogliono raccontare una storia rimanendo tuttavia fedeli al dato autentico del passato. Il Medioevo in effetti è un periodo che “tira” molto, basti pensare ai numerosi titoli che affollano gli scaffali delle librerie, senza contare un numero cospicuo di videogame oggi in circolazione, tutti accomunati dall’ambientazione nell’età di mezzo. Troppo spesso però viene restituita un’immagine sfocata di quell’epoca se non, in alcuni casi, brutalmente mistificata: il Medioevo come periodo oscuro, eslege, violento, bigotto; oppure il Medioevo come una sorta di epoca d’oro, in cui i valori dell’amore, della cavalleria, dell’onestà e dell’obbedienza sono talmente esasperati da rasentare il “fantasy”. Fadigati offre un valido punto di vista alternativo: la trama del suo romanzo poggia infatti su robusti dati storici offrendo quindi un’immagine persuasiva non solo della Bergamo medioevale, ma anche del contesto europeo del XII secolo all’interno del quale la vicenda si svolge. È possibile così seguire le imprese del giovane cavaliere protagonista della storia, insieme a quelle dei suoi compagni d’armi, le feroci lotte intestine che in quel periodo insanguinavano i comuni, le congiure che venivano ordite, inserite nel più ampio contesto della dialettica che vedeva protagonisti il Papa e l’Imperatore all’indomani del Concordato di Worms ed a cui ciascuno guardava come punti di riferimento per la propria vita. Emerge, scorrendo avidamente le pagine del romanzo, un Medioevo “genuino”, lontano tanto dall’idea di epoca “buia”, quanto da quella edulcorata, ma parimenti falsa, di epoca felice; un Medioevo in cui domina un’idea di fondo, un’idea che l’epoca moderna ha tragicamente sradicato via da sé: che l’uomo è rapporto con Dio e dunque tutto, mangiare e bere, vegliare o dormire, vivere o morire, amare, lottare, lavorare è in funzione di questo rapporto costitutivo.


Pubblicato su La Sicilia lunedì 16 aprile 2012